Dire bravo non serve | 5 errori che commettono i docenti

Dire bravo non serve
5 errori che commettono gli insegnanti

Dire bravo non serve

Dire bravo non serve

 

Davvero dire bravo non serve? Davvero i bambini crescono meglio se non ricevono lodi? Proviamo ad analizzare questo pensiero.

 

In realtà il problema è che troppo spesso i Dirigenti sono bravi a sottolineare gli errori che commettono gli insegnanti, ma non sono altrettanto bravi a dare suggerimenti concreti per affrontare i problemi in classe. Ma forse il vero problema è che pochi di loro hanno le competenze necessarie per farlo.

 

 

Ogni tanto riappare la lista degli errori che gli insegnanti commetterebbero in classe secondo la teoria di un Dirigete scolastico. In questo elenco di “errori” però ce ne sono alcuni che mi lasciano un po’ perplesso: – Limitare l’alzata di manoNo ai voti e alle pagelle – ma quello verso cui nutro seri dubbi è: Dire bravo non serve! Ed è su quest’ultimo errore che mi soffermo soprattutto.

Secondo Marco Orsi, l’ideatore del metodo, “…dire bravo genera nel bambino “dipendenza” dagli adulti.  Dire «bravo» a chi ha fatto bene fa sentire chi non l’ha ricevuto non al centro dell’attenzione. C’è il ragazzo che può reagire con sfida sbeffeggiando il bravo come “cocchino” della maestra. E chi può essere preda dell’invidia, che si trasforma in astio. Il clima della classe ne risente sottraendo attenzione ai compiti.”.

Insomma, secondo Orsi, dire bravo ad un bambino, influirebbe negativamente sugli altri alunni e sull’andamento della classe in generale.

Devo ammettere che spesso mi sono trovato e, tuttora mi trovo, di fronte a colleghi che hanno la lode facile solo per alcuni bambini, discriminando la maggior parte degli alunni presenti in classe, e in questi casi la teoria del Dirigente non fa una grinza.

Attraverso l’osservazione si può notare che in realtà i bambini non sono invidiosi delle lodi dette ai compagni, ma semplicemente ci restano male quando non si sentono diversi dal gruppo. Mi spiego, se un bambino verrà elogiato per un lavoro, non gli importerà se un suo compagno verrà elogiato per un altro lavoro.

Una delle attività che amo molto è quella di improvvisare una canzone in cui faccio una rima con i nomi di tutti i bambini. Es.: Oggi sono andato al parco, ho incontrato il mio amico Marco, son caduto in una buca, mi ha salvato il simpatico Luca.
I bambini si divertono molto, soprattutto quando accompagno la canzone con la chitarra, eppure, anche se le rime e i contenuti sono diversi per ogni bambino, mai nessuno si è lamentato del tipo di rima, perché tutti, prima o dopo, sono coinvolti nella canzone. Agli alunni basta questo, non importa se la rima di Davide è più bella di quella di Jacopo, o se quella di Giuseppe è più divertente di quella di Calogero, a loro basta essere uguale agli altri, essere parte di un gruppo, sentirsi vivi, presenti; sapere che l’insegnante li considera.

Ma se in classe tendessi a lodare sempre Martina perché è la più brava, perché è la più bella, perché viene da buona famiglia, perché veste sempre ordinata, perché è sempre la prima a finire (giuro, li ho sentiti davvero questi complimenti) stiamo certi che la profezia del dott. Orsi si avvererebbe. Ma la scuola ci offre infinite possibilità, infiniti momenti, infinite attività per poter lodare tutti i bambini. Vygotskij diceva che il deficit non è solo una debolezza, ma una forza. È importante trovare le potenzialità di ogni bambino ed il gioco è fatto e se ogni bambino riceve una lode non avrà motivo di essere invidioso o geloso dei compagni.

Personalmente ritengo la lode importante, soprattutto nei primi anni di vita e togliere la lode è come togliere i regali di Natale.

Rinunciando alla lode il rischio è quello di ritornare al passato, quando la scuola era fredda, rigida. Quando il rapporto tra insegnante e alunno era di tipo militare.
In realtà basterebbe entrare in una classe della scuola dell’infanzia o della primaria per scoprire che sono proprio i bambini a cercare l’approvazione dell’insegnante, la lode è anche la conferma di cui il bambino ha bisogno per sapere che sta lavorando bene. Purtroppo a volte tendiamo a iper-proteggere i bambini o, di contro, tendiamo a responsabilizzarli troppo, e in tutti e due i casi il rischio è quello di privarli della propria infanzia, della piacevole sensazione di sentirsi appagati per aver lavorato bene.

Per i bambini la lode fatta dalle persone che stimano è la più grande spinta a migliorare, a lavorare meglio. Basta rispettare le fasi dello sviluppo, e pian piano, con la crescita, le lodi incominceranno a ridursi e ad essere adeguate al rendimento, i ragazzi impareranno che solo impegno e buoni risultati produrranno elogi, premi e soddisfazioni.

Ma quando sono bambini tocca all’insegnante trovare una virtù da lodare in ogni alunno. Deve essere chiaro a tutti che verranno lodati comportamenti, impegni e risultati, poiché i bambini vanno preparati alla vita di adulto fatta di lodi, di voti, di premi. Il bambino, diventato adulto, sosterrà colloqui di lavoro dove il più bravo otterrà il posto ambito a discapito dei meno bravi. Lavorerà in aziende dove chi lavorerà meglio e con merito otterrà la promozione. Parteciperà a concorsi dove sarà stilata una graduatoria con punteggio, dal più bravo al meno bravo, e i più meritevoli otterranno un posto di lavoro. Ma proprio come è giusto che fino ad una certa età i bambini possano credere a Babbo Natale, è giusto che fino ad una certa età i bambini abbiano le lodi, anche se dobbiamo costruirle. Toglierle non farà diventare i bambini adulti migliori, ma adulti a cui è mancato qualcosa nell’infanzia.

D’altronde anche il dott. Orsi è diventato Dirigente Scolastico superando un concorso fatto di voti, graduatorie e vincitori. Tutto questo non va in contrasto con i suoi principi? Non avrebbe dovuto rifiutare l’incarico per non influire negativamente su chi non aveva superato il concorso?

Certo che no, è così che funziona. La nostra società è fatta di graduatorie, di vinti e vincitori ed è impensabile pensare di non premiare chi vale di più, con la condicio sine qua non che il vincitore abbia vinto onestamente, non attraverso espedienti illeciti.

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