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La Banda di Casapunessa ed il cane Grigio

 

VI Capitolo     (vai al capitolo 1)

Faffi era diventata quasi la leader del gruppo. La prima cosa che fecero, subito dopo il ritrovamento di Grigio, fu il suo rito d’ingresso. Fu una cosa stupenda. Prepararono il rifugio con fiori di ogni colore che Otto aveva raccolto nei campi e una decina di candele. Gianna e Rollo si vestirono eleganti. Benny che per turno doveva presenziare la cerimonia indossò, addirittura, la cravatta. Max teneva Grigio in braccio. Chiusero la finestrella e la porta e Benny pronunciò la frase:
«Io, delegato, momentaneamente, capo della Banda di Casapunessa, ti eleggo nuovo membro della banda. Gli altri membri sono d’accordo?».
Si levò un urlo fragoroso.
«Sììììììììììììì!!!!!» fu un urlo così forte che quasi telefonò un signore dall’America per dire di abbassare la voce che stava riposando.
«La nostra piccolina!» esclamò Rollo.
E mentre tutti festeggiavano, Gianna e Faffi si ritrovarono a guardarsi e tutte e due avevano le lacrime agli occhi. Erano al buio con la luce delle candele e nessuno se ne accorse; erano emozionate, ma era un loro segreto e non l’avrebbero condiviso nemmeno con gli amici della banda.
Da quel momento tutti erano pazzi di Faff la quale si era rivelata simpatica e socievole. Gianna e Rollo l’adoravano, i ragazzi la stimavano perché era l’unica femminuccia con la quale potevano giocare a calcio e a gareggiare nella corsa, e se la cavava molto bene, dando sempre filo da torcere a tutti.
Le giornate trascorrevano in maniera fantastica. Appena svegli andavano a prendere Grigio. Gli facevano fare i bisognini e lo portavano a passeggio per la campagna. Poi andavano in paese e decidevano qualche gioco da fare: nascondino, corsa, acchiapparello, lupo e ghiaccio, calcio. A volte il pomeriggio andavano a casa di Gianna e in giardino giocavano alla guerra con i palloncini d’acqua. La mamma il pomeriggio lavorava e gli dava il permesso di utilizzare il giardino a patto che non imbrattassero casa. Ma i pomeriggi più belli erano quando giocavano al Complotto Internazionale. Si inventavano un intrigo e immaginavano che qualcuno fosse il cattivo ed incominciavano a seguirlo senza farsene accorgere. Una mattina immaginarono che il postino fosse una spia degli alieni venuti per conquistare la terra. Incominciarono a seguirlo per tutto il paese. Si divisero in due gruppi e si davano appuntamento in determinati posti. Si nascondevano dietro i muri, dietro le fontane o i muretti delle case. Saltavano fuori all’improvviso come poliziotti e si nascondevano più avanti. Ogni tanto con i raggi gamma (una mazza di legno) lo irradiavano per renderlo inoffensivo. Ed il povero postino non si accorgeva di niente. Il gioco infatti andava avanti fino a quando la vittima non si accorgeva di essere seguito. La squadra che veniva vista per prima perdeva. Il postino ebbe un paio di volte la sensazione che qualcuno lo stesse osservando, ma non si accorse di nente.

Ma ogni cosa bella finisce, lo sapeva bene Faffi, forse lo sapevano anche gli altri e così un giorno, all’improvviso, la tranquillità della Banda di Casapunessa fu sconvolta da un evento, e le cose non furono più come prima. Il direttore organizzò la festa di compleanno per la figlia Elvira, furono invitate tutte le autorità, tra cui il beneamato sindaco e tutta la classe V e, naturalmente, anche i ragazzi della Banda di Casapunessa. I ragazzi erano decisi a non andare, ma l’invito fu mandato direttamente alle famiglie ed i genitori imposero ai figli di andare per non sfigurare nei confronti delle persone che contavano.
«Oh, mia figlia non fa che parlare di voi, di quanto siete in gamba e di come le farebbe piacere far parte della banda!» furono le parole di benvenuto del direttore.
Elvira dal canto suo fu gentilissima con tutti. Era una povera vittima succube del padre, ma all’occorrenza capace di una cattiveria impressionante. Alta oltre la media per la sua età, impacciata nei movimenti. Alternava momenti di timidezza a momenti di vera prepotenza. I bambini non l’amavano, soprattutto Gianna e Faffi, ma mentre Gianna andò alla festa con gli altri della banda, la piccola del gruppo restò a casa, aveva un brutto presentimento, e quella sera aveva voglia di piangere, ma si trattenne sperando che in fondo fosse solo una festa.
Ma il destino era in agguato, più di quanto si potesse immaginare. Elvira mostrò ai ragazzi la piscina che aveva nel giardino e disse che sarebbero potuti andare tutti i giorni a fare il bagno. Aveva un campetto per giocare a pallavolo, due videogame di ultima generazione, televisore al plasma, con una mega collezione di DVD. E che dire delle scarpe, borse e gadget, tutti di firme molto importanti? Così i ragazzi senza volerlo, senza nemmeno accorgersene, si ritrovarono Elvira nella banda. All’inizio continuarono a giocare per le campagne e per il paese. Elvira era di una dolcezza e di una gentilezza mai vista e sempre disponibile, quasi timida. Dopo un po’, complice il padre, ma forse soprattutto la forza ammaliatrice del lusso, Elvira convinse i ragazzi ad andare a giocare a casa sua. In fondo la casa di Elvira era anche un boccone molto ghiotto con tutto quello che offriva, sembrava un parco giochi, e poi c’era la piscina che con il caldo di quei giorni era una vera cuccagna. Anche Grigio si trovava a suo agio e si divertiva a correre intorno alla piscina abbaiando ai suoi amici che facevano il bagno. Avevano una villa a loro disposizione, soldi a iosa che Elvira disponeva per comprare e soddisfare qualunque capriccio. E poi c’era una delle cose più allietanti per i ragazzi: l’assenza di un adulto. Il padre di Elvira era sempre impegnato con il canile, la scuola e soprattutto la politica. La madre Elvira la vedeva poco, alcuni anni prima era scappata con un altro uomo e il direttore trovava sempre il pretesto per non farle incontrare. Insomma avevano tutto quello che potevano desiderare, ma a Gianna mancava una cosa: Faffi. Dal giorno della festa era scomparsa. Il giorno dopo si era incontrata con Rollo e quando le disse che stavano andando a prendere Elvira, Faffi trovò una scusa e da quel momento diventò un fantasma. Quando qualcuno di loro andava a casa sua e chiedeva di lei, usciva sempre la madre che diceva che non c’era. Faffi odiava Elvira. Era prepotente, faceva la spia e ricattava i compagni. E poi… e poi era stata lei ad accusare il maestro Fabio, a causa sua il suo caro maestro se ne era andato e quindi non sarebbe mai stata amica di quella piccola antipatica. Naturalmente era troppo orgogliosa per dire la sua, ma forse non si sentiva ancora così inserita da poter esprimere un parere negativo su Elvira. Doveva scegliere se accettare l’amicizia di Elvira, o perdere i suoi amici e i suoi sogni. Scelse la seconda. Tornò ad essere la Faffi di sempre. Ma più sola, più triste, più arrabbiata di prima, perché se in passato era abituata alla solitudine, ora aveva provato l’amicizia e rinunciarvi era dura, così come era dura rinunciare a Grigio. Le mancavano i suoi amici, le passeggiate, i giochi. Ma come Faffi c’era qualcun altro che stava male: Gianna. Non riusciva a darsi pace. Così un giorno andò a casa di Faffi, ma la mamma uscì dicendo che non c’era, ma questa volta non disse che era impegnata in qualche servizio, no, disse che Faffi era uscita con i suoi amici. Gianna sentì una fitta al cuore. Si sentì tradita. Lei che aveva fatto di tutto per farla entrare nella banda e Faffi ora aveva nuovi amici e non voleva più uscire con loro. Era furiosa e decise che prima di spifferare tutto alla banda e farla cacciare voleva affrontarla e dirgliene quattro. La mamma della piccola le disse che sarebbe tornata all’ora di pranzo e Gianna l’aspettò. Faffi camminava stanca, annoiata, con la faccia triste. Proprio non sembrava che era stata a giocare con degli amici. Ma Gianna era troppo accecata dalla rabbia per accorgersene; saltò fuori all’improvviso da dietro un albero che quella poverina di Faffi quasi ebbe un colpo dallo spavento.
Nonostante la paura, a Faffi le si illuminò il viso dalla contentezza, pensava che Gianna le avesse fatto uno scherzo in amicizia. Ma dalla voce capì che non era venuta in pace.
«Ah… eccoti qua!» disse con tono arrabbiato.
Faffi accennò un lieve saluto ma non disse niente.
«E allora? Che ti abbiamo fatto? Ti sei fatta dei nuovi amici, brava, che bell’amica!».
Faffi restò a testa bassa.
«E allora non sono libera di giocare con chi voglio? Anche voi avete una nuova amica!».
«Ah… questo è il problema? Sei gelosa? Guarda che non significa che ora c’è Elvira e noi ti trattiamo male. E poi guarda che è proprio una brava ragazza, sei tu che la stai a fare troppo lunga con lei!».
In realtà Gianna non era per niente convinta delle parole che aveva detto, lei stessa non si fidava troppo della loro compagna di scuola, ma era arrabbiata e voleva ferire l’amica.
Faffi avrebbe voluto dirle tutto quello che pensava di Elvira, di quello che aveva fatto al maestro Fabio, ma lei era fatta così, si chiudeva a riccio e non parlava, o magari, come in questo caso, inventò una bugia per chiudere il discorso.
«Guarda che il problema non è Elvira. È che ora ho nuovi amici e con loro mi diverto di più, io mi annoio a fare sempre la banda!»
«E noi abbiamo fatto pure il rito per farti entrare!» disse Gianna con il sangue agli occhi per la rabbia, «Sei una vipera, non ti meriti niente, ti cacceremo dalla banda e non ci potrai mai più fare parte!».
Faffi continuò a restare in silenzio e Gianna provò una rabbia incontenibile, e le lacrime incominciarono ad inondare il suo viso.
«Sei cattiva, sei cattiva, ti odio!» urlò Gianna fuggendo via.
Singhiozzava come una bambina di due anni strappata dalle braccia della mamma. Ma fuggendo, non si avvide di un fatto molto importante, che se avesse visto forse le cose sarebbero andate diversamente: anche la piccola Faffi piangeva come lei, più di lei.
Quello stesso pomeriggio, su richiesta ineluttabile di Gianna, la Banda di Casapunessa si riunì nella capanna e fece il rito per cacciare Faffi dalla banda. In realtà fu tutto improvvisato, perché non avevano mai pensato che un giorno avrebbero dovuto cacciare qualcuno. Lo chiamarono il “rito inverso” e lo presenziò Gianna.
Non dissero niente, ma ognuno di loro, in cuor suo, decise che da quel giorno non avrebbero fatto più entrare nessuno nella banda. Sarebbero stati sempre e solo loro.
La sera quando Faffi tornò a casa la madre le diede una lettera che le avevano portato i ragazzi della banda. Pensò che si trattasse di una lettera di Gianna. Anche se sapeva che sarebbe stata una lettera cattiva, sperò che invece Gianna le avesse scritto che quelle cose che le aveva detto non le pensava davvero e che le voleva comunque bene. Ma fu ancora più brutto di quanto si aspettasse: era la lettera di espulsione dalla banda, firmata da tutti perfino Grigio. “Noi membri della Banda di Casapunessa, con rito di esclusione, ti cacciamo per sempre!”. L’unica consolazione era che non c’era la firma di Elvira, ma questo non leniva il suo dolore. Non sapeva che i suoi vecchi amici non avevano nessuna intenzione di far entrare Elvira nella Banda. Era una loro amica, questo sì, ma non così tanto da diventare una di loro, e poi la scottatura di Faffi era stata troppo forte per aprire le porte a qualcun altro.
Finì il mese di giugno e la prima settimana di luglio volgeva al termine. Faffi girava sempre da sola, mentre i ragazzi facevano gruppo fisso con Elvira, e man mano scoprivano quanto fosse ricca la figlia del direttore. Aveva addirittura una casa tutta sua, una volta sposata sarebbe andata a viveri lì. Un giorno i ragazzi ci andarono insieme. Era una casa costruita su tre piani, situata in periferia, in una campagna sperduta. Ci si arrivava camminando per un po’ da una via che costeggiava la scuola media, quella che avrebbero frequentato a settembre. Sotto la casa c’era una cantina immensa che faceva paura tanto era grande. Elvira disse che c’era anche una stanza segreta ma che non poteva mostrare, proprio perché era segreta, forse una balla per darsi delle arie. La banda avrebbe voluto poter restare lì per qualche ora e divertirsi, era un posto troppo meraviglioso per lasciarselo sfuggire, ma Elvira disse di no, che l’avrebbero rovinata, che si doveva mantenere intatta per quando si sarebbe sposata. Insomma i ragazzi capirono che gliel’aveva mostrata solo per far vedere quanto fosse ricca. E pian piano, la figlia del direttore incominciò a dettare legge. Prima iniziò con “questo non si tocca senza il mio permesso”. Poi, “in casa mia si fa come dico io”. In breve i ragazzi si trovarono vittime della sua prepotenza. Si giocava a quello che diceva lei, si faceva quello che diceva lei. Poi incominciò a minacciare i ragazzi che se non facevano quello che voleva lei lo avrebbero detto al padre, il quale dal canto suo non si vedeva mai, se non qualche volta il pomeriggio di passaggio. Sorrideva come suo solito e in modo gentile, ma che suscitava disagio, infondeva spavento. Poi con voce suadente diceva:
«Mi raccomando non fate arrabbiare questo angioletto, io mi fido di voi, e anche i vostri genitori…!».
Un giorno ci fu una lite tremenda tra padre e figlia. La sera precedente erano andati ad una cena e la figlia si era vestita in modo semplice.
«Sei un’handicappata, una malata deficiente. Ti devo rinchiudere in un convitto per anziani!» urlava il padre inferocito.
La cosa più vergognosa fu che il tutto si svolse davanti ai ragazzi della banda, che provarono un profondo disagio.
«La tua compagna Lela è sempre così elegante ed è figlia di pezzenti. Tu figlia degenerata di un insegnante e direttore del rifugio per cani sei una miserabile. Io mio vergogno di avere una figlia come te, ti disconosco come figlia!».
La lite continuò per giorni e gli amici di Elvira cercarono di starle vicino, ma la sua reazione fu spropositatamente opposta alle loro aspettative. Elvira diventò più prepotente e cattiva.
Un giorno Elvira non c’era perché invitata ad un matrimonio con il padre. I ragazzi ne approfittarono per riunirsi alla capanna e parlare.
«Io non la sopporto più! Ma perché non ritorniamo a giocare come una volta? Noi da soli?» disse Gianna.
«Ma quello il padre ci verrebbe a cercare e ci costringerebbe a tornare a giocare con lei!» rispose Otto.
«Comunque Faffi era tutta un’altra cosa, io con lei mi divertivo di più!» disse Rollo.
«Lascia stare, non parliamo di quella vipera, se ne stesse con i suoi amici!» ripose Gianna.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi Rollo sbottò.
«Uffa, e del maestro Fabio e della maestra Anna non si deve parlare… e di Faffi non si può parlare… e va bene, stiamo zitti. Anzi parliamo dei fiori. Uh… hai visto che belle margherite? Uh… e guarda che nuvole? Oh… hai visto quel moscerino? Che discorsi interessanti!»
Tutti risero.
«Comunque non è vero che ha nuovi amici!» disse Otto.
«E tu che ne sai?» chiese Gianna.
«Mia madre lavora a Casal Marchese e la vede spesso e sta sempre sola in giro per il paese! Io non ti ho detto niente perché tu come la senti nominare ti arrabbi!».
Gianna non proferì parola. Si levò un silenzio tombale.
Decise che l’avrebbe incontrata e il mattino seguente si appostò molto presto vicino casa sua e aspettò che uscisse. Incominciò a seguirla cercando di non farsi scoprire, proprio come il loro gioco: Complotto Nazionale. La seguì fino a Casal Marchese. Faffi incominciò a girare a vuoto. Tirò qualche sasso. Guardava le auto. Gianna la seguì per quasi un’ora. Poi Faffi si andò a sedere sopra un muretto e Gianna le si andò a sedere vicino.
«Simpatici i tuoi amici eh? Forse un po’ silenziosi, anche un po’ trasparenti, però sono simpatici!» disse Gianna ironica.
Faffi la guardò cercando di mantenere lo sguardo indifferente, ma dentro era contenta, malinconica e felice. Gianna non si era dimenticata di lei.
«Oggi avevano da fare, erano invitati ad una festa di compleanno?».
«Di mattina? Una festa di mattina? E perché non hanno invitato anche te?».
«No, ho sbagliato non era un compleanno, volevo dire una comunione! Mi hanno invitata ma io odio le feste! Poi ci rivediamo domani!».
«Ah… e ieri, e l’altro ieri? Guarda che la mamma di Otto ti vede che stai sempre da sola!».
«E allora? Devo dare conto a voi?».
«È per Elvira vero? È per questo che non esci più con noi!».
In quel momento Gianna capì che in realtà l’aveva sempre saputo. Come era stata ingenua. Era così gelosa che non pensò ad un attimo che Faffi non usciva più con loro a causa di Elvira.
«Però potevi dirlo!» disse poi.
«A che sarebbe servito? Voi avevate deciso e chi ero io per contestare?»
«Certo che potevi contestare! Tu sei della banda e hai il diritto di dire quello che pensi!».
«Ero della banda, ora non più! Ora mi avete sostituito!».
Gianna sorrise amaramente! Ci fu un lungo silenzio, melanconico, ma di un’emozione viva, un sentimento di affetto profondo.
«Lo sai… sono stata io a dire di fare il rito di esclusione. Ero arrabbiata e mi sentivo tradita. Davvero ci ho creduto che avevi altri amici e non te ne importava più di noi!»
Faffi non rispose, ma non era arrabbiata.
«E comunque… quella non è mai entrata nella banda e mai ci entrerà! E poi tu manchi a tutti!».
A Faffi le si spalancò il cuore. Allora Elvira non aveva preso il suo posto, né nella banda, né nel loro cuore.
«Io la odio. È una persona cattiva e falsa!» disse Faffi d’un tratto.
«Beh… nemmeno a me è molto simpatica, ma a te cosa ha fatto che la odi così?».
Faffi incominciò a piangere.
«È colpa sua se il maestro Fabio e la maestra Anna se ne sono andati!»
«Ma non è nemmeno bello quello che il maestro Fabio ha fatto a lei!».
Faffi diventò una bestia ed incominciò ad urlare.
«Non è vero, non è vero, non è vero, il maestro Fabio non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Sono tutte bugie!».
Gianna rifletté per qualche momento. In effetti anche lei sembrò una cosa dell’altro mondo quello di cui era accusato il maestro, ma tutti ne avevano parlato e continuavano a farlo dando per scontato che fosse vero. In tutto il paese si era detto che il maestro Fabio era un pedofilo, che aveva fatto delle cose brutte ad Evira, ed era stato arrestato. Ora si aspettava il processo e tutti dicevano che ci voleva la sedia elettrica anche in Italia. Nessuno aveva mai parlato di un complotto. E ora Faffi diceva che era tutta un’invenzione. Che sapesse qualcosa di cui nessuno era al corrente?
«E che ne sai? Come fai a dirlo?».
«Ma tu non lo conoscevi il maestro Fabio? Ci ha mai fatto una cosa del genere? Nemmeno ci accarezzava sul viso come fa quell’antipatico del direttore. Poi di punto in bianco fa una cosa simile?».
«Anche a me è sembrato strano. Lui ci ha sempre difesi, perché poi ha fatto quelle cose?».
«Perché non le ha fatte!».
«E perché Elvira ha detto una simile bugia?».
«Una volta il maestro Fabio mi disse una cosa e io ci credo!»
«Cosa?» chiese Gianna incuriosita!
«Mi disse che il pedofilo fa quelle cose brutte a bambine che gli piacciono, non a quelle che non gli piacciono. E mi disse che se lui fosse stato un pedofilo non l’avrebbe fatto con Elvira, perché non era lei la bambina che preferiva!».
«Il maestro Fabio non preferiva nessuno, l’ha sempre detto che siamo tutti uguali per lui!» rispose Gianna.
«Ma non è vero. Una volta l’ha anche detto in classe. È normale che un professore può avere in simpatia qualcuno e che anche lui forse c’aveva uno o più alunni preferiti!».
«Già è vero, però quando gli chiedevamo chi erano i suoi preferiti diceva che non ce l’avrebbe detto mai! Io ho sempre pensato di essere tra le sue preferite!».
«Anche io, ma con noi non le ha mai fatte quelle cose! Ci voleva bene!» disse Faffi.
«Non so che dirti Faffi. Tutti hanno sempre detto che è stato lui!».
«Non tutti, io non lo dico! Comunque siete tutti uguali, dovreste vergognarvi, dopo tutto quello che il maestro ha fatto per noi!» Faffi si alzò e se ne andò.
«Aspetta Faffi…!!!» implorò Gianna.
«Lasciami stare, lasciatemi stare tutti!» urlò Faffi correndo via.

 

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