Intervento bambini autistici | Metodo dei cambiamenti continui

Intervento bambini autistici
Metodo dei cambiamenti continui

Autismo

Autismo

 

“Per evitare che il bambino autistico si bagni, non chiudetelo in una struttura senza pioggia, ma insegnategli ad usare l’ombrello e lasciatelo libero di scoprire il mondo!”

Intervento educativo atto a ridurre significativamente, se non eliminare completamente, quelle abitudini a cui la maggior parte dei bambini autistici reagisce in maniera inappropriata quando vengono interrotte.

Quando sentiamo parlare di autismo, immediatamente siamo portati a fare un’associazione mentale con parole come stereotipie, ecolalie, abitudinarietà, routine, ripetitività! E, in effetti, la maggior parte dei soggetti autistici presenta tali comportamenti. E, altrettanto vero, è che gli autistici reagiscano male ai cambiamenti, infatti, il più piccolo mutamento della routine quotidiana provoca in loro frustrazione, disagio, stress. Tra le varie soluzioni che vengono proposte dalla comunità scientifica nazionale, una delle più accreditate è sicuramente quella di far vivere i soggetti autistici in spazi appositamente strutturati. Si tratta di organizzare l’ambiente a misura della persona autistica, dove tutto è predisposto: il tempo, le attività, la disposizione degli oggetti, i terapisti e gli educatori. Tutto ruota intorno all’utente. Tutte le attività seguono una precisa routine: la sveglia, la colazione, le autonomie, le attività scolastiche, il pranzo. Tutto quello che avviene durante la giornata viene pianificato e, soprattutto, la persona viene avvisata preventivamente degli eventi che avranno luogo durante il corso della giornata, soprattutto riguardo i cambiamenti di programma.

In un ambiente strutturato il soggetto autistico ha la capacità di diventare autonomo e padrone di se stesso. È tranquillo, calmo, sereno e sicuro di sé. Anche i cambiamenti diventano meno invasivi, perché vengono comunicati precedentemente e praticati gradualmente, così da non creare disagio in un soggetto che per natura è infastidito o turbato da qualsiasi cambiamento, diretto o indiretto, che avvenga intorno a lui.

Quasi sempre le risposte che i soggetti autistici mostrano avere nei confronti dei cambiamenti sono di disagio, che può manifestarsi in forma lieve, può ma arrivare a vere e proprie crisi di rabbia (temper tantrums), fino a reazioni violente verso se stessi o gli altri.

In questi ambienti strutturati, invece, i soggetti autistici risultano essere sereni, tranquilli, e mostrano capacità che sembrava non avessero, riuscendo ad essere autonomi in moltissime delle attività quotidiane. I risultati sono eccezionali da un punto di vista globale, dalle autonomie, all’apprendimento, alle capacità cognitive.

Una delle tesi sull’autismo è che il bambino intorno a se percepisca caos, e vivere in un ambiente strutturato riduca questa percezione di caos. Se la sua vita è regolare, se vive come viaggiando su binari invece di strade intersecate, si sente sicuro e non ha paura di affrontare tutto quello che gli viene proposto.

La maggior parte degli operatori che sono chiamati a confrontarsi con i soggetti autistici è ben consapevole dell’importanza di mantenere un setting terapeutico invariato, cioè, utilizzare sempre la stessa stanza, i mobili disposti sempre allo stesso modo, stessa cosa per gli oggetti, la terapia sempre allo stesso orario, cercare, nel limite del possibile, di non far saltare mai la seduta. I cambiamenti devono avvenire in maniera graduale, quasi impercettibilmente.

Ma che cosa avviene se per un motivo inevitabile questo meccanismo di ripetizione quotidiana, di vita strutturata viene a mancare?

IL PANICO!

Poniamo un esempio classico: la colazione.

Abbiamo un bambino che da cinque anni ogni mattina beve latte e mangia fette biscottate. Che cosa accade se una domenica mattina ci accorgiamo di esserci dimenticati di comprare il latte il giorno prima? O il latte che abbiamo di scorta è scaduto? Ed essendo domenica e le salumerie sono chiuse, i vicini son fuori e nelle vicinanze non c’è un bar? PANICO

O se da tre anni per andare a scuola percorrete sempre la stessa strada ed un giorno la trovate interrotta per lavori in corso? Cosa accadrà se le giostre dove lo portate a giocare una volta a settimana sono state chiuse perché pericolanti? Il caos. Il bambino piangerà, strillerà, sarà nervoso per tutto l’arco della giornata.

La domanda è: perché un bambino autistico reagisce male ai cambiamenti?

La risposta è più semplice di quanto non sembri: Quando abbiamo capito che gli autistici reagivano male ai cambiamenti, abbiamo lavorato per strutturare una vita abitudinaria priva di cambiamenti, senza immaginare che in questo modo non facevamo altro che inasprire la sua intolleranza ai cambiamenti, fino ad un punto di non ritorno. Abbiamo pensato che progettare una vita ordinata per il soggetto autistico, era il modo migliore per estinguere quei comportamenti che a noi risultano fastidiosi: pianto, crisi di nervi e aggressività, ed abbiamo creduto che quella fosse la strada più giusta. Ma ci siamo fermati, senza considerare altre possibilità, senza immaginare, invece, che i bambini autistici possono imparare ad accettare i cambiamenti. È logico che se abituo il bambino ad una vita regolare, lui si abituerà a quella vita regolare e non accetterà di buon grado i cambiamenti. Soprattutto se quel bambino è un soggetto predisposto alla routine.

Ma pensare che il bisogno di routine sia una particolarità degli autistici è un grave errore. Infatti per la maggior parte delle persone rinunciare a qualcosa a cui si è abituati risulta difficile e crea disagio. Basti pensare a tutte le abitudini a cui ci è difficile rinunciare. Alla passeggiata con le amiche il sabato pomeriggio, agli amanti del calcio che odiano le domeniche senza partite. Provate ad immaginare a qualcosa a cui siete abituati e a dovervi rinunciare improvvisamente. Dalle cose grandi come trascorrere tutti i fine-settimana fuori, fino a quelle piccole, come un caffè dopo pranzo.

Quando la nostra mente si abitua a qualcosa è poi difficile rinunciarvi.

Ecco quello che accade ad un bambino autistico: dopo ogni evento si aspetta che ne segua uno ben stabilito, perché la sua vita gira sempre allo stesso modo. Dopo ogni azione, dopo ogni situazione, dopo ogni episodio che vive, si aspetta un ordine preciso: dopo pranzo lava i denti, poi dorme, poi legge un libro, poi gioca. Tutto questo susseguirsi di azioni prestabilite lo tranquillizzano, mentre se qualcosa rompe la routine e le sue aspettative non vengono soddisfatte sarà pervaso da disagio e andrà in tilt.

Qual è allora la soluzione?

Non rendere i bambini autistici dipendenti dalle abitudini.

Più semplice che a dirsi che a farsi.

Per chiarire meglio il concetto possiamo fare il confronto tra un lavoratore impiegato presso un ufficio ed un corriere espresso. Prendiamo prima un impiegato che da venti anni lavora presso lo stesso ufficio con la stessa mansione e di punto in bianco gli venga cambiato l’ufficio, la sede, le mansioni, il lavoro e i colleghi. Non c’è ombra di dubbio che per lui sarà traumatico. I cambiamenti lavorativi, sono spesso causa di depressione, ansia, agitazione e nei casi più drammatici ictus o suicidio.

Prendiamo invece un corriere espresso, che ogni giorno gira con il suo furgone per fare consegne a domicilio. I suoi clienti sono sempre diversi, le zone che gira sono sempre diverse. Se un giorno dovesse cambiare azienda di trasporti, colleghi, prodotti di consegna e zona di consegna, per lui il disagio sarebbe minimo, anzi, potrebbe trovarvi giovamento perché stanco della routine.

Questo è quello che abbiamo fatto con alcuni soggetti autistici, abbiamo cercato di rendere la loro vita come quella di un corriere espresso, e cioè in continuo cambiamento, e contrariamente ai dubbi che molti ci avevano manifestato, i risultati sono stati strabilianti. Non solo i bambini trattati hanno dimostrato di accettare subito i cambiamenti, ma hanno, addirittura, mostrato di gradirli e di esserne incuriositi. Inoltre, i bambini trattati secondo questa modalità miglioravano significativamente le risposte nei percorsi riabilitativi con cui erano trattati: Logopedia, Psicomotricità e Musicoterapia.

Metodo dei Cambiamenti Continui,  intervento per bambini autistici.

Le prime considerazioni fatte sull’autismo risalgono a 15 anni fa, in un campo estivo per bambini disabili fatto in un piccolo paese della Germania del nord (Rotenburg Wümme). Lì nacque la prima idea del Metodo dei Cambiamenti Continui poi confermate da una casualità, dovuta agli scarsi mezzi messi a disposizione dal centro della provincia di Napoli, presso cui abbiamo lavorato per tre anni. Questa politica dell’economia ad ogni costo, costringeva molti terapisti a cambiare stanza all’occorrenza. La musicoterapia, avendo scarsa considerazione da parte della direzione sanitaria,  era tra le discipline più esposta al cambiamento stanza, anche in presenza di pazienti autistici. Il cambiare stanza costringeva, per questioni logistiche, a cambiare continuamente anche il tipo di trattamento. Dopo un po’ ci accorgemmo che tutti i bambini trattati in musicoterapia, nonostante il piccolo smarrimento iniziale, in breve tempo si adattavano ai continui cambiamenti senza mostrare alcun disagio.

Ma con nostro immenso stupore ci accorgemmo che tra questi bambini rientrava N. un bambino autistico di due anni. Saltò subito all’occhio della separazione che il bambino faceva tra le due figure dalle quali veniva trattato: Neuropsicomotricista e Musicoterapista.

Quando la Neuropsicomotricista lo andava a prelevare nella sala d’attesa, lui correva precedendo la terapista nel corridoio del centro, entrava nella stanza, prendeva la sua sediolina, la poneva al solito posto, si sedeva, si toglieva le scarpe ed aspettava l’arrivo della terapista, un abituale rito di inizio terapia. Quando era il Musicoterapista a prelevarlo dalla sala d’attesa, N. correva comunque verso il corridoio precedendo il terapista, ma, a differenza di come faceva con la Neuropsicomotricista, una volta giunto a metà del corridoio si fermava ed attendeva che il Musicoterapista gli indicasse la stanza in cui entrare, proprio perché con lui non c’era niente di prestabilito. Questo evento ci fece riflettere e ci diede l’input per qualcosa mai tentato prima. Fu così che in accordo con i genitori e la Neuropsicomotricista elaborammo un sistema riabilitativo che non prevedesse routine. In breve tempo sia in Musicoterapia che in Psicomotricità fu eliminato ogni tipo di abitudine. Dopo alcune settimane N. non mostrava più nessun bisogno alle routines.

Ci teniamo a sottolineare che quando il centro di riabilitazione per cause di forza maggiore fu costretto a traslocare in una nuova struttura, nella nuova sede tutti i bambini mostrarono un po’ di disagio, tutti tranne  N. che non solo non mostrava segni di malessere, ma addirittura ne era affascinato e lo dimostrava nel desiderio di esplorazione.

Ma in che cosa consiste esattamente il Metodo dei Cambiamenti Continui?

Già molti studiosi hanno preso le distanze dall’idea che il bambino autistico debba vivere in un ambiente dove tutto è strutturato, e le nuove tecniche si basano su programmi la cui filosofia non è quella della routine. 

Ma dal nostro studio è emerso, tuttavia, che anche quando il bambino non vive in un ambiente strutturato, tende ad assumere comportamenti ripetitivi. Per essere più chiari, anche non vivendo in un’ambiente strutturato la mattina si alzerà, si siederà al solito posto per fare colazione, si laverà, si vestirà, andrà a scuola, si siederà al suo banco vicino al solito compagno. Diventa a questo punto necessario che nella vita del soggetto autistico non ci sia alcun tipo di routine: eliminare ogni tipo di abitudine, routine, attraverso uno meccanismo programmato di cambiamenti.

In pratica, ogni momento della giornata del bambino deve essere completamente diverso dai momenti del giorno precedente, e di quello successivo. Non devono esserci momenti ripetuti, non devono esserci sequenze. Iniziando dalla colazione: dove siede, cosa mangia. Alla scuola: la strada da percorrere, il banco dove siede, il compagno di banco. Alle azioni quotidiane: fare i compiti, guardare la TV, il programma TV, giocare con i videogiochi.  Il tutto deve procedere in una sequela casuale ma programmata: Se oggi fa prima i compiti e poi  guarda la tele e poi gioca; domani guarderà la tele, poi giocherà e poi farà i compiti. Dopodomani sarà la volta di giocare, poi farà i compiti e poi guarderà la tele. Ancora meglio se una di queste attività verrà addirittura sostituita da una nuova. Es.: invece di guardare la tele farà una passeggiata.

Questo meccanismo di cambiamenti continui farà in modo che il bambino non soffrirà per l’interruzione della routine, perché nella sua vita non ci saranno routines.

Diventa importante che anche le sequenze programmate non diventino ripetitive. Prendiamo per esempio la sequenza sopra elencata:

Compiti – televisione – gioco

Televisione – gioco – compiti

Gioco – compiti – passeggiata

Una volta terminata questa sequenza è importante non ripeterla seguendo lo stesso schema ma variarla. Questo perché i bambini autistici sono in grado di memorizzare anche abitudini a lungo termine.

Più giovane è la persona, più facile e fruttuoso sarà l’intervento. Molto pericoloso e improduttivo, invece, è iniziare da un giorno all’altro il metodo dei cambiamenti continui, senza i dovuti accorgimenti ed uno schema studiato.

Un fattore importante del metodo è quello che più cambiamenti si effettuano più cresce il bagaglio di conoscenze del bambino. Es. se il bambino è abituato a mangiare latte con cereali ogni mattina, è chiaro che le sue conoscenze sono limitate al latte e cereali e qualsiasi altra colazione proposta risulta sconosciuta. Attivando il metodo dei cambiamenti continui, si proporranno varie colazioni: succo di frutta e fette biscottate, succo e pane e marmellata, latte e biscotti, latte e fette biscottate, una volta che tutte le tipologie di colazione vengono accettate dal bambino, il suo bagaglio di conoscenze è accresciuto significativamente.

Il nostro studio è stato svolto con soggetti dai 2 anni fino ad una persona di sesso femminile di anni 20. In tutti i casi il metodo ha avuto risultati positivi. Con i ragazzi più grandi i risultati si limitavano solo alla dipendenza dalle abitudini e i tempi risultavano essere più lunghi, mentre con i bambini più piccoli i risultati sono stati globali e hanno coinvolto la sfera del linguaggio, delle autonomie, del comportamento, della relazione, ma, soprattutto, hanno ridotto significativamente stereotipie, ecolalie e la dipendenza dalle abitudini.

È importante sottolineare che il metodo non deve essere per sempre. È utile fino a quando il soggetto autistico sarà libero dalle abitudini, dopodiché sarà possibile che incominci a vivere una vita regolata. Ma è necessario intervenire tempestivamente ogni qualvolta venisse fuori una routine alla quale il soggetto mostra difficoltà a rinunciarvi.

Le difficoltà maggiori che abbiamo incontrato nell’attuare il metodo non sono attribuibili ai soggetti trattati, ma al personale operativo: terapisti, assistenti, educatori ed insegnanti, ed ai familiari, che risultavano i primi ad essere poco inclini ai continui cambiamenti.

Dalla nostra esperienza è emerso che far crescere il bambino autistico in ambienti dove tutto è strutturato produce inizialmente buoni risultati, ma con il tempo si entra in una fase di stallo dove i progressi sono sempre meno frequenti. Il bambino viaggia come sui binari del treno, senza mai uscire dagli schemi, e non uscendo dagli schemi non progredisce nel sapere. Per far capire il concetto possiamo utilizzare come esempio la differenza che intercorre tra un medico di un piccolo paese ed un medico di un ospedale di una grande città: nonostante le capacità e il continuo aggiornamento, il medico del piccolo paese sarà sempre limitato a quei pochi pazienti che vede nel suo studio. A differenza il medico dell’ospedale della grande città vedrà un’infinità di casi e la sua preparazione sarà maggiore. Così per il bambino autistico, stando in una struttura dove tutto è sempre uguale non potrà mai progredire come in un mondo vario dove tutto è in continuo modificarsi, rinnovarsi.

Ne consegue che, nonostante la nostra buona considerazione verso le scuole speciali per bambini disabili, che ci sono in buona parte d’Europa e negli Stati Uniti, riteniamo che per quanto riguarda i bambini autistici risulta fondamentale l’inserimento in una buona scuola con bambini normodotati, fermo restando la presenza di insegnanti qualificati. Punto dolente in Italia, dove gli obiettivi principali dei governi che si sono succeduti negli anni, sono stati i tagli.

Il metodo dei Cambiamenti Continui non è, nella maniera più assoluta, una terapia riabilitativa, ma un “metodo” che non può essere utilizzato in maniera esclusiva, ma associabile a tutti i tipi di trattamento: logopedia, fisioterapia, psicomotricità, educazione comportamentale, musicoterapia etc. etc.!

Il nostro studio, pur essendo certi della validità del metodo, non ha valore scientifico, poiché non è stato possibile avviare una ricerca sotto la supervisione di medici specialisti.

Le nostre ricerche sono state interrotte per mancanza di risorse.

Sconsigliamo vivamente di improvvisare il metodo da un giorno all’altro, di praticarlo senza le dovute precauzioni e conoscenze.

Operatori coinvolti nel progetto:

Claudio Cutolo          Musicoterapista – Educatore Comportamentale

Roberta Improta       Neuropsicomotricista dell’età evolutiva – Insegnante scuola dell’infanzia

Commenti (5)

[…] sentiamo parlare di autismo, immediatamente siamo portati a fare un’associazione mentale con parole come stereotipie, […]

Condivido e confermo quanto contenuto nell’articolo, da madre di bimbo autistico! Aggiungo che queste osservazioni e suggerimenti sono stati ampiamente confermati e proposti dall’RDI (relationship development intervention). Un metoso per lo sviluppo delle relazioni, ideato dal Dott. Steven Gutstein come metodo anti-ABA! 🙂

La ringraziamo per il commento. Aggiungiamo alcune precisazioni.

L’RDI di Gutstein è innanzitutto un sistema globale, come l’ABA, da cui d’altronde Gutstein proveniva. Il suo trattamento nasce da alcune insoddisfazioni e critiche all’ABA. Come dicevamo l’RDI è un metodo globale, richiederebbe l’esclusività del metodo, pur potendo essere associato ad altri trattamenti. Inoltre utilizza i cambiamenti non in maniera studiata, ma sono repentini, improvvisi. Lo scopo oltre quello di esortare l’adattamento all’ambiente, è soprattutto la stimolazione all’interazione sociale.

Il nostro non è un sistema globale, non è un trattamento terapeutico. È solo un metodo che necessariamente va associato ad un trattamento, che sia esso logopedia, pet-therapy ABA, VB, o, come nel nostro caso: psicomotricità, musicoterapia ed educazione psico-comportamentale.
Un esempio può essere il metodo di studio. Ogni ragazzo ha un metodo che applica quando studia, qualsiasi sia la materia che sta studiando. Con il suo metodo può studiare la filosofia, la matematica o la storia. Ma senza queste materie, il metodo da solo non ha senso. Il metodo dei cambiamenti continui è come un metodo di studio, senza materie da studiare non ha senso, non serve a niente. Mentre l’RDI è una materia completa.

Inoltre è bene sottolineare quattro differenze fondamentali.

• I cambiamenti non sono improvvisi, ma continui. Ogni attività viene svolta in maniera diversa dall’altra, ma soprattutto senza mai ripetizioni.
• Lo scopo dei cambiamenti continui non è quello di stimolare la socializzazione, ma eliminare le abitudini, soprattutto quelle cattive, alle quali il bambino non sa rinunciare, che risultano invalidanti.
• I cambiamenti non sono perenni. Vengono proposti fino a quando il bambino non sarà più prigioniero delle abitudini. Quando sarà in grado di affrontare serenamente i cambiamenti si potranno tranquillamente riprendere alcune abitudini, salvo che non diventino di nuovo invalidanti.
• Nonostante il metodo dei cambiamenti, il nostro trattamento è quello multidisciplinare, ma alla base c’è l’educazione comportamentale.

buon giorno mi chiamo sonia o 41 anni una bambina affetta d’autismo a l’età di tre anni mi a manifestato questo problema ,per 5 anni la bambina a seguito terapie di psicomotricità e locopedia settimanale e una miusicterapia alla scuola materna .a fatto nuoto. ma dopo un po di anni circa 5 mi recai a un’altro centro di terapie per aiutismo a roma a filo dalla torre che segui una terapia di un anno ,in piu’ ancora freguantava il primo centro trovato in precedenza quindi seguiva terapie a villa dante e filo dalla torre. e la bambina aveva fatto grandi progressi .ora da due anni mi è stata tolta dal tribunale perche i zii affidatari mi anno fatto passare per un genitore non adeguato per la salute della mia bimba .ma dopo tutto quello che o fatto dubito che o fatto qualcosa di sbagliato .ora che anno loro l’affido la bambina non sta seguendo nessun tipo di terapia che non esegue dal agosto del 2012. ecco mi domando è vero che con un anno di terapia persa la bambina non puo piu’ recuperare non cè piu’ nulla da fare? come possibile che solo con un anno senza terapia non si puo’ aiutare piu’ di tanto la bambina autistica a solo 10 anni .mi puo’ aiutare a capire e se c’è ancora tempo per aiutarla e come e dove andare? mi aiutate per favore a salvare mia figlia da questi disgraziati che credevano di aiutare mia figlia .sensa una terapia e io che o fatto tanto mi si nega ogni intervento per la mia bambina grazie sono disperata aiutatemi grazie sonia

Nel 2004 pubblicammo Stereotipie e Comportamenti Problema sulla rivista American Journal on Mental Retardation (AJMR ed. It. 2.2.2004) testo in cui si cercò di delineare il primo abbozzo di una teoria esplicativa del disfunzionamento autistico (successivamente spiegato in dettaglio nel testo Out Aut degli stessi autori, edito da Vannini ed.2010) che individuasse un target abilitativo privilegiato con valore globale. In tale occasione gli autori spiegavano che il disfunzionamento autistico potrebbe essere riassunto nel famoso concetto clinico dell’immutabilità, descritto già da Kanner, a cui conseguivano una serie complessa e variabile di condizionamenti a cascata con effetti nella relazione e nella comunicazione. Immutabilità che si esprime in termini generali come disfunzionamento stereotipato (ds). Questo si esprime attarverso una molteplicità di aspetti tutti comunque coerenti. Potremmo quindi considerare l'”immutabilità” esprimersi come stereotipie ideativo motorie sensoriali, comportamenti complessi sempre stereotipati, in varie adesività negli interessi e varie forme di controlli ambientali non funzionali ma anch’essi stereotipati… Tutto questo, nelle più diverse forme e gravità, rilevabile trasversalmente in tutti i casi inclusi nella diagnosi. A fronte di questo pattern ideativo comportamentale comune, pervasivo e persistente si spiega quanto sia coretto il vs metodo. Infatti se il modello teorico descritto in Out Aut è vero, costruire abilitazione secondo i principi della routine e della prevedibilità, in rispetto rigoroso della procedura esecutiva della performance richiesta ambiente per ambiente… funziona solo perché riflette, rispecchia l’andamento naturale imposto dalla sd. l’immutabilità appunto. È giusto rilevare che se agli esordi abilitativi risulta utile aderire al quadro patologico di base, subito dopo va iniziato un suo contrasto e cosa c’è di meglio che la variabilità per vincere la mancanza di flessibilità (immutabilità) che condizionerebbe negativamente la prognosi di queste persone. Meglio ancora per accelerare l’acquisizione della flessibilità aggiungere alla variabilità, la brevità delle proposte per ottenere precocemente stabilità, attentività mantenendo piacere e motivazione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *