Bullismo Chateaubriand | Bullismo al Liceo Chateaubriand

Bullismo Chateaubriand
Bullismo al Liceo Chateaubriand

Bullismo Chatebriand

Bullismo Chatebriand

 

Al Liceo Chateaubriand ci sarebbe stato un caso di bullismo. I genitori del ragazzino hanno deciso di allontanarlo dalla scuola.

Ma come è intervenuta la scuola? E il dirigente scolastico è stato all’altezza della situazione? O come in molti altri dirigenti ha affrontato il caso mettendosi sulla difensiva e con un “pizzico” di superficialità?

 

Fonte: Repubblica.it

Bulli, razzismo e saluti romani al liceo Chateaubriand di Roma, una delle istituzioni francesi all’estero più prestigiose, frequentata da rampolli di famiglie ricche e famose: è quanto denuncia la moglie dell’ex console di Parigi nella capitale, il cui figlio di 13 anni è stato vittima di violenze da parte di compagni poco più grandi e ha dovuto cambiare scuola. Un istituto da 5mila euro l’anno di retta, frequentato da figli di diplomatici, professionisti, artisti, giornalisti, intellettuali e imprenditori. E tra gli ex alunni figurano cognomi come Comencini, Vanzina, Eco e il ministro Marianna Madia.

Ma la moglie dell’ex console francese a Roma ha voluto denunciare le vessazioni subito dal figlio. “A febbraio mio figlio, che aveva 12 anni e da tempo tornava spesso con segni di contusioni, ha avuto dolori fortissimi all’addome e l’abbiamo portato in ospedale – racconta la madre, fino a poche settimane fa dipendente del consolato francese – Era l’effetto di una tensione psicologica prolungata e fortissima. Ci ha confessato che da quattro mesi tre compagni di classe italiani di un anno più grandi lo colpivano a schiaffi e calci, insultandolo, almeno due-tre volte a settimana nella pausa delle lezioni. Lo abbiamo messo in malattia e ad aprile ha cambiato scuola, perdendo l’anno.(1) Ha subito danni psicologici accertati. E ci sono molti altri casi simili”.

Secondo la moglie dell’ex console, lo Chateaubriand non ha fatto nulla se non costringere i tre ragazzini a un compito sul bullismo. (2) “Non è vero, abbiamo formato una commissione interna sul caso con una psicologa esterna – dice il preside Joel Lust, 25 anni di esperienza tra Canada e Madagascar, a Roma da due anni – All’unanimità ha concluso che si è trattato di episodi di intimidazione fisica e non di ‘harcelement’ (persecuzione sistematica). I tre sono stati sospesi per mezza giornata e abbiamo fatto incontri formativi in tutte le classi”.(3)

La psicologa Sara Di Michele, membro esterno della commissione, dice che sarebbe stato utile convocare i quattro ragazzi e farli dialogare, “ma la famiglia della vittima non ha voluto”. (4)

Il preside ammette che ci sono casi di bullismo e di razzismo, ma limitati. “Come in tutte le scuole, non di più – dice Lust -. Lo scorso anno 3-4 come quello del figlio del console, uno di razzismo, uno di uso di slogan fascisti. Siamo sempre intervenuti con l’educazione”.

Ma per alcuni genitori membri di associazioni – la storica Ape (Associazione genitori alunni) e la nuovissima Upel (Unione dei genitori), pur con accenti diversi “il fenomeno è molto più diffuso, molti non denunciano per paura e la scuola fa troppo poco”. Come hanno scritto in una lettera inviata mesi fa all’Agenzia per l’insegnamento francese all’estero (Aefe) a Parigi. La presenza di famiglie facoltose e importanti renderebbe più difficile intervenire. “E’ falso – secondo il preside -, i genitori e le associazioni sono in competizione tra loro per questioni di potere e di protagonismo” (5).

“Il razzismo e la violenza sono pratica quotidiana allo Chateaubriand – afferma invece la moglie dell’ex console francese -. ‘Brutto negro’ e ‘Viva il duce’ sono espressioni comuni. E molti lasciano ogni anno la scuola perché non vengono tutelati”.

Di seguito analizziamo il modo in cui sarebbe stato gestito il bullismo allo Chateaubriand. Dando per scontato, quindi, che i fatti si siano svolti come riportato da Repubblica. Ci soffermeremo su 5 punti essenziali, segnati in neretto e la nota in rosso.

1. Non sappiamo se i genitori del bambino prima di allontanare il figlio dalla scuola abbiano avuto incontri con l’istituzione scolastica, ma con ogni probabilità riteniamo che ci sia stato qualche contatto: bene, in questo caso possiamo affermare che il preside, gli insegnanti e la scuola hanno fallito miseramente. Non c’è più grande fallimento per una scuola quando per preservare la vittima dal bullismo la si costringe ad abbandonare la scuola.  

provate ad immaginare un giudice che per punire uno stupratore gli assegni una ricerca sulla violenza sulle donne.

3. La commissione interna istituita dalla scuola, con la collaborazione di un membro esterno, la psicologa Sara di Michele, ha concluso che si è trattato di episodi di intimidazione fisica e non di persecuzione sistematica. (???) Ci chiediamo su quali basi e con quali criteri abbiano potuto affermare tale tesi, se non attraverso le testimonianze dei tre bulli, visto e considerato che la vittima non è stata interpellata, o se interpellata, non sia stata creduta. Ora, chi ha una minima infarinatura del fenomeno bullismo, sa che una delle caratteristiche del branco è effettuare violenze senza testimoni o intimorire eventuali testimoni. Questo non fa altro che confermare quello che emerge da molti studi e cioè che una delle maggiori difficoltà della vittima è trovare aiuto negli adulti i quali non le credono. Le scuole negligenti nella sorveglianza (una buona scuola e un buon dirigente, avrebbero scoperto il bullismo prima dei genitori) giustificano la loro colpevole assenza accusando la vittima di ingigantire o di dichiarare il falso. Ci chiediamo inoltre se la mezza giornata di sospensione non sia stata troppo severa per i tre ragazzi e che non rischino gravi traumi psicologici.                                                                             

4. La psicologa Sara Di Michele, membro esterno della commissione, (della quale non siamo riusciti a trovare nessuna notizia di eventuale formazione relativa al bullismo, ma solo la qualifica di psicologa dell’adolescenza) dice che sarebbe stato utile convocare i quattro ragazzi e farli dialogare, “ma la famiglia della vittima non ha voluto”. Non vogliamo entrare nel merito della sua formazione, né criticare le sue competenze, né capire su quale base la scuola abbia scelto lei e su quale base lei si sia sentita adatta al ruolo, ma possiamo affermare con assoluta certezza che dire che sarebbe stato utile convocare i quattro ragazzi e farli dialogare equivale a dire che per risolvere un caso di stupro sarebbe stato utile convocare lo stupratore e la vittima e farli dialogare.                                                             

5. Le associazioni dei genitori dichiarano che  La presenza di famiglie facoltose e importanti renderebbe più difficile intervenire. In realtà, come vedremo nel capitolo in cui affronteremo le soluzioni, un dato emerso in anni di lavoro, è che più è alto il ceto sociale e il livello di istruzione dei genitori dei ragazzi, più è difficile comunicare e affrontare con loro i problemi che riguardano i propri figli e mostrano un atteggiamento di “infondata” supponenza sul problema, pur non avendo mai letto un libro di pedagogia o di bullismo. Quindi la dichiarazione dei genitori potrebbe essere tutt’altro che balzana e da parte del dirigente scolastico sarebbe stato più opportuno favorire un incontro/confronto o vari incontri con le varie associazioni di genitori, invece di liquidare la questione mettendosi sulla difensiva e rigettando accuse.

 

 

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