Notte nella capanna

Capitolo 26 – Notte nella capanna

Aveva smesso di piovere, ma erba e terreno erano fradici. Percorsero alcuni chilometri, tra erba e fango, avevano le scarpe inzuppate e i piedi congelati. Camminavano veloci tra le sterpaglie. Giunsero nei pressi di un vecchio capanno in muratura che sembrava abbandonato.
Dal contenuto del capanno era chiaro che si trattava del deposito di un contadino. C’erano ancora degli attrezzi. Forse era stato abbandonato alla comparsa di Dabby Dan, o forse prima. C’era un piccolo caminetto in pietra, il custode lo accese con un poco di legna asciutta che giaceva per terra. Si tolsero le scarpe inzuppate e si riscaldarono alla meglio. Incominciarono ad avere fame, non c’era stato tempo di fare colazione e nella fretta nessuno aveva pensato a portare delle provviste. Camillo e il custode decisero di uscire a cercare qualcosa da mangiare. Le ragazze rimasero nella capanna per mettere un po’ d’ordine e creare un giaciglio per la notte. Presero delle casse di legno che posizionarono come sedie e un tavolino. Con una scopa di paglia spazzarono alla meglio. Misero in ordine gli oggetti sparsi in giro e trovarono dei sacchi che sistemarono per terra per non dormire a contatto con il terreno. Quando dopo due ore tornarono gli uomini restarono sorpresi del cambiamento.
«Femmine!» esclamò Camillo sorridendo a Pamela che cercava il suo sguardo. Gli “uomini di casa” avevano trovato un bel bottino. Roba da mangiare e alcune coperte.
«Ma dove avete trovato tutta questa roba?»
Camillo alzò le spalle come se niente fosse.
«Semplice, nel deposito dei soldati!»
«Siete tornati lì? Ma siete pazzi?» esclamò la ragazza preoccupata.
«No, i soldati erano così concentrati a cercarci per tutta la città che hanno lasciato il deposito incustodito!»
Poi Camillo raccontò che nel deposito avevano incontrato una vecchia conoscenza: Zucchero a velo. Era legato come un salame nell’attesa di essere portato in prigione. Aveva confessato di essere andato dai soldati dicendo che gli avrebbe dato delle informazioni importanti se gli avessero dato un po’ di roba.
«Comunque gli ha detto solo del trenino del Luna Park, non ha saputo descriverci. Ancora una volta non si ricordava di me!»
«Comunque quel ragazzo mi fa pena!» disse Pamela.
Mangiarono e bevvero a sazietà. Si sedettero per terra e si rannicchiarono nelle coperte. Il custode guardava il soffitto, sembrava stesse pensando a qualcosa di importante. Pamela era pervasa da un senso di tristezza, aveva la sensazione che tutto stesse per finire. In fondo sapeva che quei momenti intrecciati di avventura e di tenerezza non potessero durare per sempre, ma ora aveva la sensazione che la fine fosse vicina, non sapeva perché, ma ne aveva un vivido sentore. Ma anche di un’altra cosa era certa: né lei, né Betta sarebbero più tornate al Prosperitano. Riprese a piovere intensamente, per fortuna, nonostante fosse vecchio, il capanno non aveva infiltrazioni. Nel pomeriggio incominciò a scurirsi. Betta si era addormentata e il custode guardava rapito fuori dalla finestrella. Pamela si adagiò tra le braccia di Camillo.
«Ti ricorderai di me quando questa avventura finirà?»
«Non potrei dimenticarti neanche se mi facessero il lavaggio del cervello!».
Betta si risvegliò in preda ad un incubo, urlava e piamngeva. Pamela e Camillo l’abbracciarono, ci volle un po’ prima che si calmasse.
«Camillo… qualunque cosa succederà, io e Betta non torneremo in quell’istituto maledetto!» disse Pamela con le lacrime agli occhi.
«Non ci tornerete, per nessuna ragione al mondo!».

 

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