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La Banda di Casapunessa ed il cane Grigio

IX Capitolo  (vai al capitolo 1)

Ancora una volta nel piccolo paese di Casapunessa la voce si sparse con una rapidità incredibile. Ogni abitante aggiungeva alla storia qualcosa di suo. A fine serata le versioni più famose erano tre: era morta nel fiume; era stata rapita dai Rom; era fuggita con un ragazzo. Trascorsero tre giorni, ma di Faffi nessuna notizia. Non fu trovata nel fiume, non nelle campagne. Cercarono perfino con i cani. I Carabinieri brancolavano nel buio. Questa volta ai ragazzi della Banda di Casapunessa non fu permesso di svolgere indagini. I genitori gli avevano ordinato perentori di non intralciare il lavoro dei Carabinieri, e forse loro erano troppo presi dalla vicenda per mettersi a giocare. Si incontravano comunque ogni giorno per sapere se c’erano novità e discutevano sulle varie possibilità.
«È stato sicuramente il direttore!» disse Benny.
«Ma perché? Forse l’ha uccisa?» disse Otto.
«Non dirlo nemmeno per scherzo!» si arrabbiò Gianna.
«Ragazzi dobbiamo fare qualcosa!» propose Rollo.
«Sì, ma cosa? Al canile non possiamo andare, è pericoloso!» disse Otto.
«Andiamo dai Carabinieri!» rispose Rollo.
«Non ci crederanno mai, e poi vi ricordate come ci hanno trattati l’altra volta?» disse Benny.
«Ragazzi, Faffi ci ha sempre aiutati, e noi non possiamo abbandonarla!» disse Max.
Gianna se ne stava in silenzio, ma fece un sorriso a Max per ringraziarlo delle sue parole.
Era veramente un brutto periodo per la banda: la scomparsa di Grigio, la capanna bruciata, ora Faffi. Ma, si sa, le brutte notizie non arrivano mai da sole e gli eventi corrono, volano alla velocità della luce ed un altro dramma si stava abbattendo sui ragazzi della banda e tutti i bambini della scuola elementare: il maestro Fabio fu arrestato. Ora sulla sua testa pendevano due denunce: molestie su Elvira e probabile rapimento e violenza su Faffi. Forse l’aveva uccisa. Appena la voce incominciò a circolare, alcuni abitanti del paese, uomini e donne, si recarono al carcere di Casal Marchese dove era rinchiuso il maestro e gridarono al linciaggio. Chi invocava la pena di morte, chi la tortura, chi urlava cose ancor più terrificanti e indicibili. Chi lo chiamava pedofilo, chi assassino, chi lo chiamava mostro. Se a scuola era indagato per molestie e doveva aspettare il processo per essere condannato, ora c’era la reiterazione del reato, con un’accusa molto più grave. Ancora una volta ad incastrarlo era stata Elvira. Il giorno della scomparsa di Faffi aveva visto la compagna di classe entrare nella macchina del maestro Fabio. In un altro contesto la testimonianza di Elvira sarebbe stata dubbia, ma coincideva con i racconti delle persone che avevano visto Faffi per l’ultima volta, sia per l’orario che per il luogo. Elvira non poteva sapere che c’erano dei testimoni che avevano visto Faffi, quindi la sua denuncia poteva essere affidabile.
I ragazzi della banda erano sconvolti, e per la prima volta rischiarono di rompere la loro inossidabile amicizia.
«Avevano ragione quelli che dicevano che dovevamo stare attenti al maestro!» disse Otto.
«Non ti azzardare a dire queste cose sul maestro Fabio!» urlò Gianna.
«Sì… tu lo difendi sempre, intanto chissà cosa avrà fatto alla povera Faffi! L’avrà già uccisa!».
Gianna gli si avventò addosso come una pazza.
«Faffi non è morta, non è morta! E non è stato il maestro Fabio a rapirla!» urlò Gianna come una pazza.
Gli amici ebbero molte difficoltà a separarli.
«E allora chi è stato Gianna? Io, tu? Chi è stato Gianna? Dimmelo?» anche Otto gridava ora.
«Lo sappiamo e lo sapete che è stato il direttore, ma siete dei cacasotto e non avete il coraggio di andare dai carabinieri e denunciarlo. Io non voglio più avere a che fare con voi. Non faccio più parte della banda!» e corse via piangendo.
Rollo, Max, Benny e Otto restarono ammutoliti. Mai avrebbero pensato si arrivasse a tanto.
«Secondo me hai esagerato!» disse Rollo a Otto.
«Otto, tu davvero pensi che il maestro Fabio ha ucciso Faffi?» chiese Max.
«Non lo so, ma in paese tutti dicono che è così. Ieri molte persone sono andate al carcere, volevano ucciderlo!» rispose Otto.
Benny si sedette per terra e si prese la testa tra le mani.
«Ragazzi non ce la faccio più. Questo è l’anno più brutto della mia vita. Prima, i maestri Fabio e Anna sono andati via, poi la scomparsa di Grigio e la nostra capanna bruciata. Poi è scomparsa Faffi e ora Gianna ci ha abbandonati! Ma che sta succedendo? E poi noi parliamo sempre del maestro Fabio, ma a me manca anche la maestra Anna. Il maestro ci faceva ridere, giocare, e ci insegnava tante cose, ma la maestra era così dolce!».
Fu quando Benny finì di parlare che si accorsero che Rollo stava piangendo. Max si avvicinò e se l’abbracciò. Era la prima volta che un maschietto della banda si mostrava affettuoso con una femminuccia.
«Però ragazzi, una nota positiva in questa storia c’è: Max e Rollo si sono fidanzati!» disse Otto.
Benny e Max risero, mentre Rollo incominciò a rincorrere Otto. Le fece bene perché quella corsa le fu di sfogo e smise di piangere, e alla fine riuscì anche a sorridere.
«Ragazzi… andiamo dai Carabinieri!» disse Max all’improvviso.
Ci fu un attimo di silenzio, poi tutti annuirono, Otto compreso.
Andarono a casa di Gianna, ma la madre disse che non voleva uscire. Stava dicendo ai ragazzi che non capiva la figlia quando si comportava così, poi dietro di lei comparve Gianna con lo sguardo adirato. La mamma rientrò.
Fu Otto a parlare.
«Andiamo dai Carabinieri!».
Lo sguardo adirato di Gianna diventò serio. Un’altra dura prova li attendeva. Ora entrava in gioco la Banda di Casapunessa e ce n’era per tutti. Per strada ogni tanto Otto e Gianna si guardavano imbarazzati, si sentivano entrambi in colpa, ma nessuno aveva il coraggio di chiedere scusa. Poi Otto le sorrise e lei ricambiò. Era il loro modo di fare pace.

Alla Caserma ancora una volta il Carabiniere di turno non li voleva far entrare. Ma loro sapevano delle cose importanti riguardo Faffi e alla fine il Carabiniere chiamò il Maresciallo a citofono. Attesero più di mezz’ora, nel salottino d’aspetto, poi il Carabiniere li fece entrare. Nella stanza del Maresciallo ebbero una brutta sorpresa, c’era il sindaco, il beneamato sindaco Iellato Zaccardo. Il grande amico del direttore. I ragazzi erano intimoriti e non volevano parlare.
Il Maresciallo chiese cosa volessero, ma nessuno parlava. Incominciò a spazientirsi e allora Max spiegò che dovevano dire delle cose importanti su Faffi, in privato.
Il sindaco si alterò dicendo che era lui che dirigeva le indagini come sindaco di Casapunessa, e che i ragazzi avevano il dovere di dirgli quello che sapevano.
«Avanti perdigiorno, parlate prima che non mi arrabbio!» disse il primo cittadino.
Poi Gianna prese coraggio e parlò.
«Faffi ha rubato una cartella al direttore del canile e secondo noi non è stato il maestro Fabio a rapire Faffi, ma il direttore per riprendersi la cartella!».
Fu un attimo, un evento che nemmeno il maresciallo riuscì ad evitare, forse preso dall’incapacità di decidere, tra la curiosità di quello che raccontavano i bambini e l’eccessiva riverenza verso il primo cittadino. Un attimo ed il sindaco, il beneamato sindaco, tirò uno schiaffo a Gianna, con una violenza inaudita che la ragazzina quasi cadde per terra.
Il maresciallo, imbarazzato, cercò di calmare il primo cittadino, ma questi nemmeno si accorse che parlava.
«Ma come osi? Piccola pezzente senza padre. Ah no, lei il padre ce l’ha, ma sta con un’altra donna!».
Perché tutti tirassero in ballo in padre, Gianna proprio non lo capiva. Ma il sindaco, il beneamato sindaco continuò.
«Accusare una persona rispettabile come il mio carissimo amico, per difendere un pedofilo, un mostro che dovrebbero condannare a morte. Sei solo una sgualdrinella!».
La situazione stava degenerando ed il maresciallo rimproverò il sindaco, non tanto per la condotta, ma per la paura di qualche denuncia.
«Mi scusi Maresciallo…» proseguì il primo cittadino, «…ma questo è il risultato di famiglie disgregate, disagiate. Bambini senza educazione, che crescono per strada, rubano!».
Ancora un attimo, quegli attimi dove gli eventi sconvolgono la consuetudine. La vita è fatta di infiniti attimi sommati tra loro, uno dopo l’altro, che scorrono in maniera costante, coerente; ma ogni tanto questo scorrere omogeneo viene devastato da momenti imprevedibili, che stravolgono la routine. E così, ancora una volta, uno di questi attimi si abbatté sulla nostra storia, un attimo che mai il sindaco ed il maresciallo avrebbero potuto prevedere: Benny si scaraventò sul sindaco prendendolo a pugni nello stomaco. Il primo cittadino cercò di difendersi, ma Benny era una furia.
«Noi non abbiamo mai rubato, siamo la Banda di Casapunessa e non rubiamo!» urlava Benny piangendo.
Il maresciallo fu preso dal panico, cercò anche lui di fermare Benny, ma c’era la scrivania che gli impediva il passaggio. Per fortuna Otto e Max furono più lesti, afferrarono l’amico per le spalle e lo allontanarono. Il sindaco era sconvolto.
«A questo siamo arrivati? A mettere le mani addosso al primo cittadino! E lei maresciallo non fa niente? Li faccia rinchiudere nel carcere minorile e faccia arrestare anche i genitori,!».
Rollo urlò che era stato lui ad usare per primo le mani. Il maresciallo chiamò un appuntato fece accompagnare i ragazzi fuori, in realtà furono quasi scaraventati in strada.
Quando uscirono il maresciallo si scagliò contro il sindaco.
«Ma è impazzito?»
«Sono loro che mi hanno messo le mani addosso, è con loro che dovrebbe prendere provvedimenti!».
«Lei ha dato uno schiaffo alla bambina e senza motivo, le ha dato della sgualdrina e li ha accusati di rubare. Ma si rende conto?».
«Ma hanno offeso il mio amico!»
«Hanno riportato solo dei loro sospetti. Signor sindaco…questa storia puzza, pensi a lei, solo a lei, non si metta nei guai per difendere chi ha già abbastanza guai per conto suo!».
I ragazzi della Banda erano distrutti, mortificati, delusi. Non una lacrima solcò il viso di Gianna. Era troppo arrabbiata.
«I grandi fanno schifo, io non voglio diventare grande!» disse ad un tratto Rollo.
«Ragazzi… credo che il sindaco sia coinvolto della sparizione di Faffi!» disse Max.
Ma che cosa era successo alla piccola Faffi? Era stato davvero il maestro Fabio? Era ancora viva?

Faffi stava percorrendo la strada che univa Casapunessa a Casal Marchese, le si accostò un’auto. Alla guida c’era qualcuno che Faffi conosceva bene. Le disse che sapeva dove era Grigio. La piccola era titubante, ma aveva sentito il nome di Grigio e si lasciò gabbare, giusto il tempo di avvicinarsi alla portiera e fu tirata dentro con la forza. Faffi incominciò a dimenarsi ed a urlare, ma le arrivò uno schiaffo e si calmò.
«Tanto prima o poi ti arresteranno, anche se mi uccidi ti scopriranno lo stesso e tutti sapranno quanto fai schifo!» disse Faffi.
Le arrivò un altro schiaffo, più forte, con violenza e rabbia, la piccola incominciò a singhiozzare in silenzio.

Quelli che seguirono furono giorni strani. Ad un certo punto le ricerche di Faffi smisero di colpo. Il magistrato non faceva altro che interrogare il maestro Fabio per ore ed ore, con l’intento di farsi dire dove era la bambina. Erano tutti convinti che il colpevole fosse lui, quindi inutile perdere tempo con le ricerche. Solo i ragazzi della banda erano convinti della sua innocenza, ma nessuno li credeva ed inoltre avevano avuto il divieto dai genitori di fare domande in giro. Loro non facevano altro che vagare per le strade senza una meta, con la speranza di trovare chissà che. Poi il colpo di scena: l’avvocato del maestro aveva dimostrato che il giorno della scomparsa di Faffi il maestro Fabio era a Firenze. Lui lo aveva sempre detto che quel giorno non era in zona, ma non aveva testimoni. Ma l’avvocato fu bravo a trovare una registrazione di una telecamera di video sorveglianza di un supermercato dove il maestro si era fermato a fare delle compere. Il magistrato, suo malgrado, fu costretto a scarcerarlo con effetto immediato. Il maestro fu prelevato dal carcere e portato alla caserma di Casapunessa per la deposizione definitiva. In breve la voce fece il giro del paese e più di cento persone si erano riunite sotto la caserma. I carabinieri notarono la calca che si stava formando mentre il maestro era in caserma, così mandarono a chiamare rinforzi tra vigili urbani e le stazioni vicine e crearono un cordone di sicurezza per far uscire i due maestri. Avevano paura di rappresaglie. Fra di loro c’era anche il direttore pronto a scagliare la folla contro il maestro. Ma quello che né il direttore, né i carabinieri avevano previsto era che la folla non si era riunita per linciare i professori, ma per salutarli e dargli sostegno. C’erano tutti i bambini della classe V, la classe della Banda di Casapunessa. Mancava solo Faffi. C’erano anche i bambini delle altre classi. E con loro c’erano i genitori. Ad un certo punto una signora incominciò a parlare. Il direttore la conosceva benissimo e si avvicinò per darle manforte.
«Io vorrei sapere una cosa!» urlò la signora, era la mamma di Benny, rivolta ai carabinieri che pattugliavano la caserma.
«Infatti vorremmo sapere su quale basi li scarcerate!» urlò il direttore.
La mamma di Benny lo fulminò con lo sguardo.
«Veramente io volevo sapere come si può arrestare una persona senza essere sicuri!» continuò la mamma di Benny, «Ma vostra figlia che cosa ha visto?» disse rivolgendosi al direttore.
«A questo punto dobbiamo sospettare che anche la storia della pedofilia è falsa?» chiese la mamma di Vinny, l’amico di Dodo.
«Mia figlia non dice bugie!» si difese il direttore con fermezza.
«E allora come si spiega che ha visto il maestro Fabio caricare Faffi in macchina mentre era a 1000 km da qui?» intervenne un’altra madre.
«E stiamo parlando della stessa bambina che dice che il maestro avrebbe fatto alcune cose con lei? Ci possiamo fidare di questa bambina? Io incomincio ad avere seri dubbi!» urlò la madre di Otto.
«Vogliamo la verità!» incominciarono ad urlare da più parti.
Poi gli alunni della classe V si sedettero davanti alla porta della caserma in segno di protesta. I carabinieri cercarono di allontanarli, ma i ragazzi erano irremovibili. Ad un tratto un agente cercò di allontanare uno dei bambini con la forza, ma si scatenò il putiferio e dovette rinunciare. Il direttore incominciò a ragliare come un asino chiamando i ragazzi con appellativi offensivi: rimbambiti, animali, handicappati. Ma più cercava di portare la situazione a suo vantaggio, più i genitori si imbestialivano.
«Voi siete ignoranti, non capite niente. Quel maestro è un mostro. Se lui era a Firenze allora è stata la sua fidanzata ad uccidere quella cosa… come si chiama la tua compagna di scuola… quella scomparsa?» disse il direttore rivolto alla figlia.
«Ma vostra figlia ha detto di aver visto Faffi parlare con il maestro Fabio, e ora dite che era la fidanzata, ma vostra figlia non è capace nemmeno di distinguere i due maestri?» aggiunse un’altra madre.
«E forse si era travestita da maestro Fabio!» rispose il direttore.
«Ma che state raccontando? Ma ci volete prendere in giro?» le mamme incominciarono a perdere la pazienza.
Il direttore continuò dicendo che se questo era quello che aveva visto sua figlia, quella era la verità. Ma i genitori si rivolsero alla bambina chiedendo che cosa avesse visto. Elvira diventò bianca. Guardava il padre e poi incominciò a balbettare.
«Io… io… io non ho visto niente. È papà che mi ha detto di dire queste cose!».
Il direttore chiamò la figlia con l’appellativo di malata di mente, ma Elvira gli si rivoltò contro e confessò anche che il maestro Fabio non l’aveva mai toccata, ma erano stati il padre e la zia direttrice a costringerla a dire quelle cose. Ci fu un parapiglia generale. Le mamme urlavano in direzione dei carabinieri che questa era una confessione, che dovevano prendere provvedimenti. Gli agenti non sapevano che pesci pigliare. Uno di loro entrò dentro per informare il maresciallo che ordinò di far entrare il direttore con la figlia.
Poi, mentre la folla era intenta a discutere uscì il maestro Fabio. Era accompagnato dalla maestra Anna. Li scortavano i carabinieri. I bambini urlavano, salutavano, invocavano il nome dei due maestri. Molti piangevano. Avevano messo delle transenne, tra il muro e la folla, di modo che non si creasse confusione. Ma poi un attimo, ancora uno di quegli attimi e Gianna aprì un varco tra le transenne. Un carabiniere l’afferrò per la maglia, ma la ragazzina era una furia scatenata, piangeva come un fiume in piena. Si divincolò dalle mani del carabiniere e corse tra le braccia dei maestri. Piangeva come una piccina in braccio alla madre dopo essersi sbucciata le ginocchia. I due maestri la strinsero a loro e piangevano con lei. Poi tutti i bambini superarono le transenne e si chiusero in cerchio intorno a loro. I carabinieri non riuscivano a fermarli. I due maestri abbracciarono i ragazzi e si congedarono tra pianti interminabili.
La notizia di quello che era successo divampò come un incendio in un bosco nel caldo di agosto e anche il sindaco venne a sapere che la figlia del direttore aveva ritrattato tutto. Così l’esimio cittadino incominciò ad avere paura perché era stato in prima linea contro il maestro e se ora era innocente ne andava della sua credibilità popolare. Doveva trovare la soluzione per uscirne pulito, a lui non interessava la verità, ma solo chi fosse uscito vincente dalla storia e schierarsi dalla sua parte. Ma fu il maresciallo dei carabinieri a trovare una soluzione: convinse Elvira a smentire quanto detto. La ragazzina dovette dichiarare che aveva ritrattato le molestie del maestro per paura dei genitori che la stavano aggredendo. La denuncia sul maestro Fabio restava. Ora si cercava un complice e le indagini si concentrarono sulla maestra Anna. Infatti dopo qualche giorno la povera Anna fu chiamata dal magistrato per essere interrogata. Sembrava assurdo, eppure carabinieri e magistrato si ostinavano a non percorrere altre strade.
Ma la Banda di Casapunessa non era d’accordo, i ragazzi erano convinti che i loro maestri erano innocenti. Risoluti ignorarono l’ordine dei genitori e decisero che avrebbero svolto le indagini in barba ai carabinieri, al magistrato e a tutta la gente del paese.
Ma non sapevano dove cercare perché gira che ti rigira alla fine i posti dove cercare restavano sempre due: il rifugio e il canile. Ma il direttore non poteva essere così stupido da rinchiudere Faffi lì dentro. E se invece sì? Decisero ancora una volta di fare incursione nel canile. Ma questa volta di notte. Uscirono di casa alle 03.00. Max fece finta di dormire fino a quando i genitori non andarono a letto, poi si mise a giocare con il videogame. Benny andò a dormire a casa di Otto, così si fecero compagnia fino a tardi. Rollo era già nottambula di conto suo e non le fu difficile restare sveglia. Solo Gianna aveva serie difficoltà e una volta addormentata non si sarebbe più svegliata. Così si accordò con i ragazzi che avrebbe lasciato la finestra aperta e gli amici sarebbero entrati per svegliarla. In un altro momento non si sarebbe mai alzata con l’arrivo degli amici, le piaceva troppo dormire, ma dovevano salvare Faffi e quando Benny entrò dalla finestra e la chiamò, Gianna fu subito in piedi, già vestita.
C’era un venticello fresco quella notte. Le strade erano deserte da far paura. Non erano mai usciti di notte a quell’ora. Se li avessero scoperti i genitori sarebbero stati guai. Arrivarono al canile ed ebbero una brutta sorpresa: nella direzione c’era la luce accesa. I ragazzi non sapevano cosa fare. Chi poteva essere? Benny si portò sotto la finestra e spiò dentro. C’era il veterinario. Ma che cosa ci faceva lì a quell’ora? Max era arrabbiato, sperava di trovare qualche indizio ed invece le prospettive non erano delle migliori. Rollo che era più piccolina si fece sollevare da Otto e guardò dentro. Non riusciva a capire cosa facesse il veterinario: stava guardando la televisione, ma cosa non si capiva, erano cani, poi animali da macello, tipo mucche o agnelli. Poi il veterinario estrasse un DVD dal lettore e ne introdusse un altro. Stava visionando filmati di cani, ma perché di notte? Poi si girò in direzione della finestra. In realtà, quando una persone è immersa nella luce, non vede chi è nascosto nel buio, poiché gli occhi sono abituati alla luce, ma questo Rollo non lo sapeva e quando vide il veterinario voltarsi verso lei urlò. A quel punto il medico degli animali sentì le voci e corse fuori. I ragazzi non fecero in tempo a scappare verso la strada e si nascosero alla meglio nel cortile. Ognuno in un posto diverso, sembrava di giocare a nascondino, ma giocare a nascondino è eccitante, mentre ora i bambini erano terrorizzati. Uscito dalla porta il veterinario chiese chi era. Nessuno rispose e rientrò lasciando la porta aperta, segno che sarebbe tornato. Ed infatti dopo pochi secondi era di nuovo li, ma impugnava una pistola. I ragazzi avevano il cuore che batteva fortissimo, Gianna stava per svenire, Rollo era sul punto di mettersi a piangere.
«Ho una pistola, se non uscite sparo!» urlò il veterinario.
Quando vide che nessuno rispondeva rientrò dentro chiudendo la porta dietro di sé. Rollo stava per uscire, ma Max la fermò. Non si fidava. Fece cenno a Benny che poteva essere una finta. Benny prese una pietra e la lanciò contro la porta, che si spalancò immediatamente ed il veterinario uscì come un pazzo sparando due colpi di pistola. Gianna e Rollo incominciarono a piangere. I cani delle abitazioni vicine incominciarono ad abbaiare, poi si udirono delle urla provenienti da una casa di fronte al canile.
«Stanno sparando, stanno sparando, chiama i carabinieri!».
Il veterinario si spaventò e spense la luce del canile. Corse dentro e chiuse la porta, si sentirono le mandate dei chiavistelli. Si era barricato dentro. Fu allora che i ragazzi uscirono di corsa e scapparono via. Max vide la sua ombra dietro la finestra che guardava, ma non avrebbe sparato di nuovo. I ragazzi della banda corsero come pazzi. Correvano senza guardarsi dietro. Si infilarono nella campagna. e restarono lì per un po’ per riprendersi. Rollo e Gianna si calmarono. Poi fu Max che incominciò a piangere. Non avevano mai vissuto una simile esperienza. Erano sconvolti. Dopo un po’ sentirono la sirena dei carabinieri. Non appena l’auto con la sirena passò davanti a loro, uscirono e corsero ognuno a casa propria. Benny a casa di Otto. Per fortuna nessuno dei loro genitori si accorse di niente. Nessuno dei ragazzi riuscì a dormire. Il giorno dopo in paese si sparse la voce che avevano tentato un furto al canile. I ragazzi si videro nel pomeriggio. Ancora una volta erano tristi, scoraggiati, a questo bisogna aggiungere lo spavento preso.
«Ragazzi dobbiamo stare attenti, non so se è il caso di continuare a fare gli investigatori. Stiamo rischiando troppo. Ieri sera qualcuno di noi poteva morire!» disse Rollo.
«Già… ma come facciamo a trovare Faffi e Grigio?» chiese Max.
«Forse dobbiamo aspettare che ci pensano i carabinieri!» propose Gianna.
«Come no, allora è sicuro che non li rivedremo più!» disse Otto.
Seduti sui gradini della chiesa, senza voglia di giocare, senza la minima idea su cosa fare, giù di corda, spaventati, sfiduciati, delusi dai grandi. Nessuno che li ascoltasse, nessuno che gli desse una mano. Ma ancora una volta un attimo, un attimo che nella realtà dura un millesimo di secondo, ma nella nostra mente dura un’eternità. Benny vide una luce, una piccola luce, una lucetta che da lontano si avvicinava sempre più. Una luce che si muoveva e più si avvicinava più prendeva consistenza, Benny saltò in piedi e urlò.
«Griogiooooooooooooo!»

 

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