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La Banda di Casapunessa ed il cane Grigio
IV Capitolo (vai al capitolo 1)
«I vostri genitori!» rispose pacato il signor Rosario.
«Se… figuriamoci, già non vogliono il cane, poi cacciano pure i soldi?» disse Rollo sconsolata.
Il signor Rosario ripartì lasciando i ragazzi basiti. Ma percorso qualche metro si fermò e si affacciò dal finestrino.
«E sbrigatevi… dopo sette giorni i cani vengono abbattuti!».
I ragazzi rimasero pietrificati. Non poteva essere vero: se non avessero trovato i soldi Grigio sarebbe stato ucciso. Ma come poteva accadere una cosa del genere? Ormai era membro della banda a pieno titolo e non poteva essere ucciso.
Una settimana, quindi sei giorni, per racimolare duecento euro. Ma come ci sarebbero riusciti?
Poi Gianna ebbe un’idea.
«Facciamo una bancarella e vendiamo tutto quello che non serve più, a noi e ai nostri genitori. Tipo vendita di beneficenza!».
«E ci riusciamo a guadagnare tutti quei soldi?» chiese Benny.
«Beh, se mai ci proviamo, mai lo sapremo…» rispose Max, «…ognuno di noi va a casa e prende quello che può. I nostri genitori non ci daranno i soldi, ma la roba vecchia che vogliono buttare sì. Anzi forse gli facciamo un favore!».
Fu una mega impresa. Ognuno di loro incominciò a rovistare la casa da cima a fondo e come aveva previsto Max, i genitori furono ben lieti di liberarsi da vecchie cianfrusaglie.
La bancarella fu allestita su un lato del piazzale della chiesa, vicino ad un muretto. Non era proprio un posto strategico, ma almeno non avrebbero dato fastidio a nessuno. Il tavolo lo portò Otto, era uno di quelli pieghevoli da campeggio. Benny portò il salvadanaio con il lucchetto per gli incassi. Si incontrarono a casa di Gianna da dove partirono tutti insieme con il primo carico. Una volta montato il tutto Gianna restò alla bancarella mentre gli altri continuarono a caricare oggetti. Misero a punto un listino provvisorio con prezzi che partivano dai 30 centesimi fino a dieci euro. Rollo ebbe il permesso dalla madre di prendere roba vecchia dalla cantina e riuscì a reperire una torcia, una lampada, un rasoio ed un paio di scarpe seminuove. Esposero di tutto: apribottiglie, vecchie giacche, maglioni, borse, scatole di latta, libri, fumetti, cartoline, vasi, piatti, bicchieri, pentole. Otto portò perfino uno spazzolino elettrico da denti usato.
«Ma che schifo!» urlò Benny, «Ma secondo te chi si compra uno spazzolino da denti usato?».
«E che ne sai? Forse a qualcuno serve la parte elettrica e ci cambia solo lo spazzolino sopra, oppure lo disinfettano per bene!» si difese Otto.
«Bleach… che schifo, mi viene da vomitare!» fece eco Gianna.
Purtroppo non fu un grande successo! Per tutta la mattinata non riuscirono a guadagnare che un euro e settanta centesimi. Gianna era scoraggiata, urlava inutilmente alla gente:
«Vendita, mercatino dell’usato, comprate, ottimi prezzi!».
Ma nessuno si fermava, qualcuno guardava con un mezzo sorriso, qualcun altro storceva il muso. Era quasi l’una quando passò Faffi che guardò con curiosità, tenendosi a debita distanza. Ma fu Gianna a chiamarla.
«Perché non compri qualcosa?»
«Non ho soldi!» rispose Faffi seccamente.
«Guarda che è per salvare Grigio, il cane!»
Faffi ebbe un sussulto e si avvicinò.
«Perché salvarlo?».
«L’ha preso il canile e se entro una settimana non paghiamo duecento euro lo uccidono!».
Faffi ebbe una fitta allo stomaco; avrebbe preferito ricevere un pugno in faccia.
«Duecento euro? Altrimenti lo uccidono? Ma è assurdo!» balbettò la piccola con il viso da topolino.
«Già, sono degli assassini, è un’ingiustizia!».
«Quanto hai incassato fino ad ora?»
«Un euro e settanta!» rispose Gianna con la testa bassa.
Faffi restò per un attimo pensierosa, poi come se fosse stata illuminata dal cielo disse:
«Dovete scriverlo!»
«Cosa?» chiese Gianna.
«Che state facendo questa bancarella per salvare Grigio, così la gente sarà più disponibile a comprare!».
«Vero!» urlò Gianna, «Ma dove lo prendo un cartello ora?».
«Vado a casa e ne prendo uno e…!» Faffi si fermò.
Gianna la guardò con interrogazione.
«… e se ho roba che non mi serve posso portarvela, a voi può servire!» continuò Faffi timidamente.
«Come… più roba abbiamo e più ci sono possibilità che comprano!».
Faffi corse a casa come una forsennata. Era euforica, aveva dentro di sé una carica immensa, una carica di felicità. In quel momento si sentiva come se facesse parte della banda e sperò che quel momento durasse il più a lungo possibile.
Tornò da Gianna con due sacchi pieni di roba. Nel frattempo erano arrivati Benny e Rollo.
«Che vuoi? Sparisci!» urlò Rollo.
Faffi si arrestò di colpo.
«No, no, ci sta aiutando. Ha portato anche della roba da vendere!» la difese Gianna.
«Ah… ok, ma non pensare che dopo ti diamo qualcosa!» aggiunse Benny.
«Ma chi vuole niente!» rispose Faffi orgogliosamente.
Di colpo quella felicità scomparve. Si sentì profondamente ferita. Li stava aiutando, ma loro continuavano a trattarla male. Decise di andarsene, lasciò i sacchi per terra e campò una scusa per defilarsi. Gianna voleva fermarla, ma la piccola era veloce e sgattaiolò via prima che potesse parlare.
«Sei un cretino! Lei ci aiuta e tu la tratti in questo modo!» disse Gianna.
«Meglio non fidarsi di quella, e se poi dice che Grigio è anche suo?».
«Tu dici? Io non sono sicura che Faffi sia così cattiva!» disse Gianna pensierosa. Poi prese il cartello e scrisse:
«VENDITA DI BENEFICENZA. IL RICAVATO SALVERA’ UN POVERO CANE CHE ALTRIMENTI VERRA’ UCCISO. AIUTATECI !!!».
«Buona idea, brava Gianna!» dissero Rollo e Otto che era appena arrivato.
«Non è un’idea mia, me l’ha suggerita Faffi!».
I due ragazzi si guardarono increduli.
«Allora, forse, davvero, non è quel mostro che sembra!» disse Rollo.
Pian piano la gente, incuriosita dal cartello, incominciò a fermarsi e qualcuno acquistò anche qualcosa. L’idea di Faffi si rivelò efficace e a fine serata il bottino era di 20 €. Non erano molti, anzi era una somma irrisoria rispetto ai soldi che dovevano mettere da parte. Il giorno seguente incominciò a spargersi la voce, soprattutto tra i compagni di classe. Molti di loro andarono alla bancarella dei nostri amici e comprarono quello che potevano in base alle loro finanze. Si fecero vivi anche Dodo, Vinni e Toni, i bulli della classe. Dodo era il capobanda, un ragazzino mingherlino ma molto agile e veloce. Era un leader, il più bravo in tutto: nello sport, nello studio, era simpatico a tutti, anche alle maestre, era carino e la maggior parte delle ragazzine della classe gli facevano il filo. Anche Rollo e Faffi avevano un debole per lui. Ma sapeva essere cattivello, amava stare al centro dell’attenzione e bisognava fare sempre come diceva lui. In questo era spalleggiato da Toni, il più grosso e violento della classe. Dodo minacciava i compagni dicendo che se non facevano quello che diceva lui li avrebbe fatti picchiare da Toni. Un piccolo delinquente. A loro si univa Vinni, il più buono dei tre. Era un bambino d’oro, ma aveva un difetto: aveva una passione cieca per il bulletto. Per Vinni Dodo era un idolo, il miglior amico che si potesse avere. Aveva una venerazione al limite dell’immaginabile per quel ragazzino che tutti temevano e quand’anche era evidente che l’amico faceva il prepotente, Vinni trovava sempre una giustificazione al suo comportamento negativo, fino ad arrivare a modificare la realtà.
Quando i nostri amici videro arrivare il gruppetto di Dodo incominciarono subito a preoccuparsi. Anche se loro erano la Banda di Casapunessa e tutti li rispettavano, con Dodo e i suoi amici non la spuntavano quasi mai, a causa di Toni che aveva le mani facili.
«Oh ma è vero che state facendo una vendita per salvare un cane?» canzonò Toni, «… e dov’è? Che lo salvo io con due calci nel sedere!».
«Dodo se siete venuti a dare fastidio è meglio che ve ne andate, stiamo facendo una cosa seria!» disse Rollo.
«E chi sta dicendo niente!» rispose Dodo ironico, poi guardò Toni sorridendo.
«Ma quale cane dovete salvare?» chiese Vinni
incuriosito.
«Un randagio che abbiamo adottato, il canile l’ha preso e se non paghiamo duecento euro lo uccidono!» disse Max.
«E chi è questo randagio!» chiese ancora Vinni.
«Quello grigio con le macchie nere!» rispose Benny.
«Oh ma io lo conosco, è simpatico!» replicò Vinni che aveva una passione smoderata per i cani.
«Ah, ah, quel cane brutto e peloso, vogliono salvare quel puzzone, ma siete proprio imbecilli!» disse Dodo.
Anche Otto era grande e grosso, ma non era violento e da Toni le prendeva sempre, però era l’unico che reagiva alle prepotenze dei tre.
«Qua gli unici imbecilli siete voi! E poi non è una cosa che vi interessa!» disse Otto.
«Certo che ci interessa, quel randagio sporca e puzza, è meglio se lo uccidono!» disse Dodo con arroganza.
«Bravo, anzi è meglio se lo fanno a polpette così ve le mangiate!» aggiunse Toni.
Gianna perse le staffe.
«Siete degli stupidi, se ci fosse il maestro Fabio e la maestra Anna non direste queste stupidaggini! Sapete solo fare i buffoni perché non ci sono loro!».
Dodo si azzittì di colpo. Il maestro Fabio e la maestra Anna erano gli unici insegnanti che non si facevano abbindolare dal suo carisma e punivano spesso il suo comportamento. I due maestri gli avevano fatto una guerra spietata, gli avevano tolto la leadership in classe, l’avevano separato da Toni e Vinni, ma… ma gli avevano voluto un bene da pazzi e lui, nonostante le continue battaglie, si era affezionato a loro e, come gli altri, aveva sofferto per la separazione dai due maestri.
«Ma lascialo stare a quel pedofilo. Ha ragione mia madre quando dice che lo dovevano arrestare!» disse Toni.
Ma il ricordo dei maestri provocò un forte dolore a Dodo e preferì andarsene.
«Lasciali stare a loro e quel cane rognoso!» disse andandosene.
«Comunque è vero, è sempre pericoloso, e se morde qualcuno? I randagi sono sporchi e portano malattie!» disse Vinni.
«Guarda che l’abbiamo lavato e curato, e non mi sembra che questo sia un motivo per ucciderlo!» disse Gianna.
«Ma non avevi detto che era simpatico?» chiese Benny.
«Sì… cioè… ma è sempre un randagio!» rispose Vinni arrampicandosi sugli specchi.
Quella sera, grazie anche ai compagni di scuola, avevano racimolato altri 20 € che messi insieme a quelli del giorno prima facevano 40 €. Ma erano ancora pochi e restavano solo quattro giorni.
Il giorno successivo tra i loro clienti ci fu anche il signor Rosario che spese un euro.
«Bravi ragazzi, vedrete che racimolerete i soldi!»
«Grazie signor Rosario, speriamo che Grigio non viene ucciso!» disse Rollo.
«Non vi preoccupate, il direttore avrà un occhio di riguardo per voi! Voi però sbrigatevi!» disse con tono preoccupato.
Le parole del signor Rosario, se in un primo momento avevano suscitato un po’ di speranza, successivamente misero i ragazzi ancora più in agitazione.
Per fortuna ci fu un cliente davvero mitico: il bottegaio. Si fermò vicino alla bancarella e incominciò a parlare con Otto.
«Per caso avete le panelle?» chiese.
«Cosa sono?» chiese Otto imbarazzato.
«Come cosa sono? Sono frittelle fatte con la farina di ceci, mia madre era siciliana e me le faceva sempre.
«Mi dispiace signor bottegaio ma noi non vendiamo cose da mangiare, ma solo roba vecchia.
«Ah… ho capito… e ci avete la caponata?».
«E che cos’è la caponata?» chiese Otto disperato.
«Me la faceva mia mamma, si fa con le melanzane!».
Otto si passò le mani nei capelli.
«Non vuole per caso quest’orologio? È antico, e lo può avere per soli quattro euro!».
«L’orologio? Perché che ore sono?».
«Sono le dieci!».
«E che devo fare io che sono le dieci? Mica alle dieci si cucinano le panelle! Magari il sesamo, il sesamo è buono! Il pane al sesamo soprattutto, me lo faceva… come si chiama quella?».
«Mamma? Si chiama mamma forse?» suggerì Otto.
«Ecco bravo mamma, si chiama mamma. Mica hai un regalo per mia mamma?».
«Certo… che ne dice di questo foulard? Sarebbe un regalo perfetto per sua mamma!».
«Per mia mamma? Ma mia mamma è morta trent’anni fa!».
Ottavio era disperato, e i compagni non lo aiutavano perché erano impegnati a ridere. Poi Benny vedendo Otto così scoraggiato corse in suo aiuto.
«Un lumino per sua mamma… e dei fiori… e anche un pupazzo per il suo cane, un vaso per i fiori e tutto al sensazionale prezzo di cinque euro, un vero affare!».
Alla fine, non si sa come, il bottegaio spese sette euro e fu una vera manna dal cielo.
A metà mattinata arrivò Faffi con un plico di fogli.
«Li ho fotocopiati nell’ufficio di mio zio, forse se li distribuite nelle altre zone del paese verrà qualcuno in più!».
Sul volantino c’era scritto:
“ACCORRETE E SALVATE UN POVERO CANE. DAVANTI LA CHIESA C’È UNA BANCARELLA CHE VENDE OGGETTI PER RACCOGLIERE SOLDI”
I ragazzi restarono colpiti, ancora una volta Faffi veniva in loro aiuto con un’idea geniale: volantinaggio. Questa volta nessuno della Banda disse cattiverie su di lei. Non la ringraziarono, non le dissero brava, ma il solo fatto che non l’avevano assalita fece ritornare a Faffi la gioia di vivere. Gianna le regalò un sorriso lunghissimo che imbarazzò la piccola.
Max, Benny e Otto partirono a razzo. In breve distribuirono 100 volantini per tutto il paese. Faffi salutò Gianna e Rollo e se ne andò. Aveva una voglia matta di restare con loro, ma non gliel’avevano chiesto e lei era troppo orgogliosa per restare. Gianna avrebbe voluto chiederglielo ma aveva paura di un suo rifiuto, e poi Faffi andava sempre di fretta, era troppo impegnata a fare altro, o almeno così sembrava. Di tanto in tanto durante la giornata ritornava facendo finta di passare per chissà quale incombenza da svolgere, ma in realtà cercava solo un poco di calore, un po’ di amicizia.
Quello fu un buon giorno incassarono 40 € grazie ai volantini di Faffi accorse un po’ di gente in più, qualcuno attirato anche dalla curiosità. Avevano 80 euro, ma restavano solo tre giorni. Il quarto e il quinto giorno Faffi non si fece vedere e la cosa dispiacque molto a Gianna. Ed incassarono solo 20 €. Il bottino era di sole 100€. Un bel gruzzolo, ma una miseria se pensiamo che mancavano solo due giorni.
Il sesto giorno faceva un caldo terribile. Alle 11.00 non si era fermato nemmeno un cliente e la temperatura aumentava sempre di più. I ragazzi erano accaldati e ogni tanto spostavano la bancarella con tutti gli oggetti seguendo l’ombra. Poi d’un tratto arrivò Faffi. Aveva una damigiana con un liquido ghiacciato, dei bicchieri di carta ed un cartello già pronto:
“LIMONATA FRESCA. SOLO 0,50”
I ragazzi restarono a guardarla in silenzio. Lei fece tutto da sola. Spostò alcuni oggetti e appese il cartello. Era strano vedere Faffi prendere l’iniziativa, era sempre chiusa e timida e nessuno si sarebbe aspettato da lei tanta sicurezza e iniziativa. In realtà Faffi era stata due giorni a casa. Era risentita del fatto che nonostante il suo aiuto nessuno le avesse chiesto di restare. Non si aspettava certo amicizia, sapeva che non l’avrebbero mai portata la rifugio segreto, ma almeno un grazie. Così decise di non uscire e di non aiutarli più. Ma la notte porta consiglio e anche dolore, e alla fine aveva deciso che non le importava niente se la banda l’avesse accettata o no, l’unica cosa che voleva era salvare Grigio.
Fu un successo. Con il caldo che faceva la gente non si fece pregare e dopo meno di un’ora la damigiana era vuota ed avevano incassato 12 €. I ragazzi furono entusiasti ed immediatamente si organizzarono. Benny andò a prendere i limoni, Rollo uno spremiagrumi e del ghiaccio. Otto e Max si occuparono dell’acqua. Alle 14.00 erano organizzatissimi e la loro bancarella era diventata quella dell’acquaiolo. Fino alle 17.00 non vennero molte persone, ma poi ci fu un vero boom. Venne anche il signor Giuseppe, il barista, che colse l’occasione per raccontargli una delle sue storie.
«Bravi ragazzi, davvero bravi. Queste iniziative sono da lodare. Mi ricordate me da piccolo, quando il giorno di tutti i Santi, con il mio amico Nico, andavamo in giro in cerca di portafogli rubati!».
«Rubavate?» chiese Otto sconvolto.
«No, no, per l’amor del cielo, mio padre mi avrebbe ucciso. No, no. Dovete sapere che quando arrivava la festa di ogni Santo si faceva una grande fiera che percorreva tutto il paese. C’era gente che veniva da tutti i paesi vicini, e questo, purtroppo, favoriva anche ladri e scippatori, che rubavano borse e portafogli. Ma prendevano solo i soldi di carta e buttavano i borselli lasciando le monete. Io e Nico ci mettevamo in giro e riuscivamo a trovare sempre due, tre e forse più borsellini. Con i soldi racimolati, dalle 500 alle 1000 Lire…».
«E quanti soldi sono?» interruppe Benny.
«Oddio, ora devo fare i conti, beh… se un euro corrisponde quasi a 2000 Lire, diciamo dai 25 ai 50 centesimi. Con quei soldi andavamo dal fioraio e compravamo qualche lumino. Poi andavamo a piedi al cimitero e mettevamo quei lumini sulle tombe povere, quelle senza neanche il marmo!»
«E quanti lumini compravate con quei soldi? Vicino da me il supermercato ne vende ognuno a 50 centesimi!» chiese Max.
«Eh, all’epoca i soldi valevano di meno, con 50 centesimi sai le cose che ti compravi!».
Dovettero più volte andare a prendere limoni, acqua e ghiaccio, ma ne valse la pena perché a fine serata avevano incassato 60 €. Un vero record: 160 €. Ma il fatidico giorno era arrivato, il mattino seguente dovevano andare al canile.
Ma il giorno seguente era il settimo e dovevano andare a ritirare il cane. Misero insieme i loro risparmi, aprirono i loro salvadanai e raggranellarono altri 20 €. Questo voleva dire 180 €.
«Come facciamo?» chiese Max disperato.
«Scusate…» esordì Gianna, «… domani andiamo al canile e gli diciamo se ci fa uno sconto, e se non ce lo può fare gli lasciamo i centoottanta euro come anticipo e gli diciamo di darci qualche giorno per portargli gli altri venti!».
«Buona idea…» disse Otto, «… tanto a loro interessano più i soldi che uccidere un cane!».
«E chi ci accompagna?» chiese Rollo.
Quella notte Max ebbe serie difficoltà a prendere sonno, gli succedeva sempre quando il giorno dopo lo aspettava un evento importante. Avevano faticato tanto e sperava che tutto andasse per il meglio, ma aveva ancora un po’ di paura: e se tanta fatica non fosse servita a niente? E se al direttore non fossero bastati 180 €? E se non avesse aspettato qualche giorno in più per gli altri 20 €? E se qualcun altro avesse comprato Grigio prima di loro? E se avessero ucciso Grigio? No, no, non voleva nemmeno prendere in considerazione questa ipotesi, Grigio non poteva morire, era un membro della banda, della Banda di Casapunessa, e quelli della Banda di Casapunessa non muoiono.
Otto si addormentò come il suo solito e fece sogni tranquilli, per lui non c’erano dubbi: Grigio sarebbe ritornato di nuovo con loro. Anche Benny, come Max, non riuscì a prendere subito sonno, ma non per paura, ma perché era eccitato dal fatto di poter riabbracciare di nuovo Grigio e poter giocare con lui. Gianna fu l’unica che non pensò a Grigio, ma non perché non gli importasse di lui, ma perché c’era qualcosa che occupava totalmente i suoi pensieri: Faffi. Era stata proprio carina con loro e lei era convinta che non lo aveva fatto per prendersi Grigio, ma perché ci teneva che il cane venisse salvato. In cuor suo, però, sperava che Faffi l’avesse fatto anche un po’ per lei. Immaginava che lei e Faffi si prendevano per mano e correvano a giocare insieme. Ma questi pensieri non li avrebbe confidati a nessuno, soprattutto agli amici della banda; avrebbero pensato che li stava tradendo. Non avrebbe mai voluto ammetterlo, ma si stava affezionando alla piccola, ed incominciava a volerle un po’ di bene, forse gliene voleva già molto.
I pensieri di Faffi erano neri, come sempre. Da sempre i suoi pensieri erano negativi, soprattutto la notte, da quando era piccola. Solo nei dieci mesi che a scuola c’erano stati il maestro Fabio e la maestra Anna le cose erano cambiate. Lei era la beniamina dei maestri e lei ricambiava quell’amore con impegno scolastico e un comportamento modello.
Finalmente c’era qualcuno che le dava attenzioni, che si preoccupava dei suoi pensieri, dei suoi problemi e non solo se aveva svolto i compiti a casa. Loro si accorgevano se era triste o contenta, le chiedevano come andava e come si sentiva. Ma quello che Faffi non sapeva era che quasi ogni bambino della classe pensava di essere il beniamino dei maestri.
Come erano stati belli quei dieci mesi; i suoi pensieri erano diventati positivi, belli, allegri e il giorno più brutto della settimana era la domenica quando non andava a scuola, quando non vedeva i suoi amati maestri. Poi il buio, la tragedia: i maestri lasciarono la scuola ed il maestro fu accusato di essere un pedofilo. Dopo quell’estate ci sarebbe stato anche il processo. A Faffi crollò il mondo addosso e da quella notte i suoi pensieri ridiventarono brutti, neri e spaventosi come un incubo. Come era possibile che il suo maestro facesse certe cose? Le avrebbe potute fare anche a lei? E così, come i suoi pensieri, anche i sogni erano brutti, incubi atroci dai quali si svegliava sudata ed impaurita. Sognava il suo maestro che si trasformava in uno zombi e la inseguiva, oppure la maestra con i denti di Dracula. Quella sera, invece, i suoi pensieri erano rivolti alla Banda. Faffi non aveva un’amica, la sola cosa che più si avvicinasse al concetto di amico era Grigio. Avrebbe voluto far parte della banda, avere qualche amico. Un giorno la maestra Anna le aveva detto che se avesse avuto un po’ più di fiducia in se stessa prima o poi avrebbe avuto tanti amici e forse avrebbe potuto fare parte della banda. E le promise che l’avrebbe aiutata in questo, ma lei ed il maestro se ne erano andati e nessuno l’avrebbe aiutata a trovare la fiducia in se stessa. E come avrebbe potuto far parte della banda? Loro la odiavano. Solo Gianna sembrava comportarsi bene con lei, ma lo faceva perché lei li aveva aiutati o perché le voleva veramente bene?
Rollo era la più contenta. Aveva parlato con il nonno il quale le disse che li avrebbe accompagnati e se i 180 € non fossero bastati, avrebbe anticipato lui il restante.
Se durante il periodo scolastico fossero stati così mattinieri come quella mattina, i genitori avrebbero indetto una festa nazionale e sparato i fuochi d’artificio per una settimana: alle 8.00 erano già davanti il canile. Faffi era già lì da un pezzo, era nascosta dietro un albero, non voleva essere vista. Era scesa alle 7.00 da casa. Sperava solo che i ragazzi fossero riusciti a salvare Grigio. Alle 8.30 in punto bussarono alla porta del canile. Ci volle un po’ ma alla fine venne ad aprire il Signor Rosario. Aveva la testa bassa e a stento li salutò, ma i ragazzi erano troppo agitati per notarlo. Furono fatti accomodare in una saletta d’attesa. Il tempo trascorreva inesorabilmente, ma non si vedeva nessuno Dopo un’ora i ragazzi incominciarono ad innervosirsi. Nonno Giosba, il nonno di Rollo, si spazientì e si alzò di scatto: andò sparato verso la porta sulla quale c’era una targa con su scritto: Direzione. Bussò vigorosamente fino a quando non uscì un uomo magro da far paura. I capelli un po’ lunghi a caschetto, pallido che sembrava la morte. Aveva un giubbotto ed un cappello di lana sulla testa… in piena estate!
«Che volete?» chiese con tono seccato e voce stridula.
I ragazzi erano sbigottiti: il direttore del carcere altri non era che De Crepito, il professore di scienze della scuola elementare che frequentavano, seppur non nella loro sezione, nonché fratello della direttrice del plesso, loro insegnante di matematica, nonché padre di Elvira, la loro compagna più odiata.
La ragazzina era considerata una vipera dai compagni di classe: faceva la spia, se non veniva accontenta minacciava i compagni di riferire tutto alla direttrice, sua zia. Era prepotente, isterica, a volte violenta, eppur sempre sola ed emarginata. Ma soprattutto era stata proprio Elvira, con l’appoggio del padre e della direttrice, a far andare via il maestro Fabio. Elvira era la bambina alla quale il maestro avrebbe fatto quelle brutte cose.
«Siamo venuti per comprare quel cane randagio grigio a macchie nere! I ragazzi lo avevano adottato e ora lo rivorrebbero!» disse nonno Giosba.
L’uomo lo ascoltò con il muso storto e una faccia tra l’idiota e l’antipatico.
«Io sono il direttore, il dottor De Crepito, Adelmo De Crepito. Dirigo questo centro e bla, bla bla…»
Iniziò a parlare a raffica senza fermarsi un attimo. Parlava in modo difficile che perfino nonno Giosba non riusciva a seguirlo.
«… perché il Sindaco, bravissima persona, ha disposto un miglioramento urbanistico, ed in questo progetto, che ha come obiettivo la tutela del paese da tutto ciò che può essere cagione di batteri, rientra la pulizia delle strade da elementi ritenuti, a ragione, pericolosi!».
I ragazzi non ce la facevano più e se non fosse stato per la felicità di rivedere Grigio, si sarebbero già arrabbiati. Anche nonno Giosba era esausto.
«E noi dobbiamo essere grati al Sindaco, persona intelligente e molto preparata, che con la sua politica porta il nostro paese ad un miglioramento urbanistico!».
«Senta…» lo interruppe nonno Giusba, «… le chiedo scusa, quello che dice è giusto ed interessante, ma noi vorremmo sbrigare tutte le formalità per prendere il cane e andare via. Abbiamo già aspettato più di un’ora e io avrei da fare!».
«Cane? Ma quale cane?» chiese stupito il direttore.
«Quello Grigio con le macchie nere!» risposero i ragazzi in coro.
«Ma il cane è stato abbattuto tre giorni fa!» disse con un sorriso idiota.
I ragazzi si freddarono e nonno Giosba restò a bocca aperta.
Max non capì cosa disse il direttore, o forse non voleva capire.
«Abbattuto? Cosa vuole dire?» chiese spaventato.
Il direttore gli passò la mano sotto il mento come si fa con i cani, e sorrise.
«È morto. Gli hanno sparato un colpo in testa, ma non ha sofferto, sei contento?».
Max incominciò ad urlare come un forsennato.
«Perché? Perché?».
«Oddio…» esclamò il direttore seccato, «… ma allora parlo arabo? L’ho detto che il sindaco, brava persona ha deciso il riordino urbanistico. Se ci tenevate perché non siete venuti prima?» e sorrise di nuovo.
«Ma il signor Rosario ci ha detto che avevamo sette giorni di tempo e noi dovevamo trovare i 200 euro per comprarlo!» disse Rollo piangendo.
«200 euro? Ma che esagerazione, quella è una cifra proforma, bastava che veniste subito, ve lo davo gratis! Oh, oh, poveri ingenui! Perché avete pensato questo poi!».
Nonno Giosba perse la pazienza.
«Senta, mi sembra logico che se il signor Rosario che lavora qui abbia dato queste informazioni, loro le abbiano prese per vere!».
«Ma chi? L’accalappiacani? E voi date retta ad un povero accalappiacani? Peraltro analfabeta? E perché non avete chiesto allo spazzino, o al marocchino che coglie i pomodori?»
Se non ci fossero stati i ragazzi nonno Giosba gli avrebbe mollato uno sganassone, ma il direttore continuò con le sue sciocchezze.
«In un piano regolatore dell’urbanistica si evince chiaramente la necessità di…»
«Hanno dieci anni…» lo interruppe nonno Giosba, «… della politica e dei piani urbanistici gliene interessa ben poco!».
«È sbagliato…» rispose il direttore seccato per essere stato interrotto, «… gli esperti dicono che i bambini devono incominciare molto presto ad interessarsi di politica. A mia figlia la costringo sempre a guardare il telegiornale, da quando era piccola»
Nonno Giosba prese i ragazzi che piangevano a dirotto e se ne andò.
«Se venivate qualche giorno fa… non l’avremmo abbattuto. A saperlo avrei aspettato!».
«Il signor Rosario lo sapeva!» urlò Gianna.
«Oh, oh, l’ignoranza dei bambini, un accalappiacani!» e rise di nuovo.
Nonno Giosba si voltò di scatto con fare minaccioso ed il direttore si acquietò immediatamente. All’uscita incontrarono il signor Rosario che continuava a tenere la testa bassa.
«Perché, perché signor Rosario? Perché l’avete fatto uccidere? Voi lo sapevate che noi saremmo venuti a prenderlo!».
«Mi spiace ragazzi, mi spiace!» disse senza guardare i ragazzi negli occhi.
I ragazzi erano distrutti. Nonno Giosba propose di portarli al parco giochi per farli svagare un po’, ma loro non vollero, preferirono andarsene a piedi. Faffi ascoltò i loro pianti e le loro urla, e le loro frasi: Grigio era morto, l’avevano ucciso tre giorni prima. Faffi si accasciò dietro l’albero dove era nascosta ed incominciò a piangere in silenzio, come era abituata a fare. L’aveva imparato di notte quando non voleva farsi sentire da nessuno. Un pianto convulso, ma silenzioso.
La Banda di Casapunessa era a terra. Gironzolarono per il paese, ma poi cedettero dallo sfinimento psicologico e si sedettero sui gradini della scuola. Se ne stavano in silenzio. Ogni tanto Rollo e Otto esclamavano qualche commento pesante sul direttore. Non riuscivano a spiegarsi perché il signor Rosario non avesse impedito di uccidere il cane. Ma forse il direttore non gli aveva dato ascolto.
Poi d’un tratto un brivido, improvviso, liberatorio, come il primo respiro quando torni a galla dopo un’immersione in acqua, una voce quasi impercettibile, un sussurrò che squarciò il silenzio.
«Non è morto!»
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