Libro gratis per ragazzi capitolo settimo

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La Banda di Casapunessa ed il cane Grigio

 

VII  Capitolo   (vai al capitolo 1)

 

Pedofilia. Mai parola sembrava più brutta. I ragazzi ne avevano paura, da sempre, da quando erano piccoli. I genitori, gli insegnanti, la televisione, parlavano di questa cosa come un mostro che viene di notte. Attenti agli sconosciuti, attenti agli uomini più grandi. Ma che cosa era esattamente nessuno lo diceva. Fino a quando il maestro Fabio e la maestra Anna non spiegarono il sesso e la pedofilia, Gianna pensava che gli atti di pedofilia fossero quando un adulto seviziava un bambino con strumenti da tortura. Ma proprio questa fu la condanna del maestro Fabio.

Il fatto che avesse parlato di sesso nella scuola senza autorizzazione del Dirigente Scolastico e dei genitori. Il fatto che sosteneva che i pedofili non fossero mostri ma persone da curare. Fu proprio Gianna ad ascoltare un litigio tra il maestro Fabio e la dirigente della scuola. La dirigente sbraitava che era assurdo dire che i pedofili non fossero mostri. Il maestro si difese dicendo che per lui uno che invece di innamorarsi di persone della sua età, si innamora dei bambini, per forza di cose è un malato. E poi disse una cosa che a Gianna fece male, ma che le restò impressa. Il maestro disse che la maggior parte dei bambini vengono molestati da persone che conoscono bene, di cui si fidano: padri, fratelli, zii, nonni, maestri, educatori, religiosi. Se diciamo ai bambini che sono mostri e devono denunciarli, non lo faranno mai, perché non farebbero mai del male ad una persona a cui vogliono bene. Inoltre chiamarli mostri acutizza la paura che il pedofilo incute nei bambini quando li minaccia. Mentre definire il pedofilo persona malata, bisognosa di cure, spingerebbe il bambino a chiedere aiuto per la persona che ama. Gianna restò sconvolta: suo padre o suo nonno avrebbero potuto farle una cosa del genere?
Per le autorità il fatto che il maestro avesse parlato in classe di pedofilia senza il permesso delle istituzioni dei genitori, fu la prova della sua colpevolezza. Ma se un insegnante dovesse chiedere consenso per ogni argomento trattato, che scuola sarebbe?

Il giorno seguente all’incontro tra Faffi e Gianna accadde quello che oramai era nell’aria. Erano a casa di Elvira e volevano andare in campagna a fare una passeggiata con Grigio, ma la padrona di casa non era d’accordo.
«Non voglio, restiamo a casa e facciamo qualche gioco più bello!».
«Senti, noi usciamo, se vuoi venire: vieni, se no resti qua!» disse Otto.
«No il capo sono io e si fa quello che dico io!».
«Tu non sei il capo, noi non abbiamo un capo!» disse Rollo.
Il quel momento comparve il direttore, all’improvviso, come se fosse stato nascosto dietro il muro ad origliare per tutto il tempo.
«Ragazzi non è giusto che non abbiate un capo! C’è sempre bisogno di qualcuno che si assume la responsabilità di decidere. Se ognuno fa quello che vuole poi regna l’anarchia… voi sapete che cos’è l’anarchia, no?».
I ragazzi restarono in silenzio. Nessuno aveva il coraggio di dire che non conosceva il significato della parola.
«Io non lo dico perché sono il papà, ma come insegnante, ma soprattutto come direttore sono in grado di capire chi ha la stoffa del capo. Vedete gli esperti dicono che per dirigere un gruppo ci vuole stoffa e se in famiglia c’è già qualcuno con le capacità dirigenziali… io vedrei mia figlia nel ruolo di capo della Banda di Casapunessa!».
«Noo!» disse Gianna agitata, «Lei non può fare il capo perché non fa parte della banda!».
«Come no, io faccio parte della banda, ormai è un sacco di tempo che sono vostra amica, quindi sono della banda!» reclamò Elvira.
«No, perché per entrare nella banda c’è bisogno di fare il rito d’ingresso! Senza di quello non si appartiene alla banda!». Replicò Max.
«Oh… sciocchini… è questo il problema? Allora fate questo benedetto rito e non ne parliamo più!» disse il direttore spazientito, ma sempre con quel sorriso idiota stampato sul viso.
I ragazzi restarono in silenzio, avevano paura della reazione del direttore. Sapevano della cattiveria inaudita che poteva mostrare quando veniva contraddetto.
«Allora facciamo il rito dai!» disse Elvira impaziente.
«Noo… non adesso… ora ce ne andiamo!» balbettò Benny.
«Che cosa?» gli occhi del direttore si iniettarono di sangue.
«E poi non lo possiamo fare qui, abbiamo un posto dove facciamo i riti!» intervenne Max.
«E si possono fare solo di domenica… oggi è mercoledì… non si può!» aggiunse Rollo.
«Brutti pezzenti che non siete altro, ignoranti. Già dovete ringraziare mia figlia che si è mischiata con gente rozza come voi! Buttali fuori. Poi faremo i conti, quando parlerò con il preside della scuola media, li farò bocciare tutti! Morti di fame!».
«Ma io voglio fare il rito!» piagnucolò Elvira.
«Stai zitta handicappata, ti fai schifare da tutti!» disse il direttore facendo per andarsene. «Un minuto, aspetto un solo minuto e se non ve ne andate chiamo i Carabinieri!».
I ragazzi incominciarono ad uscire, ma Gianna si fermò.
«È una bugia vero?».
«Che cosa?» chiese Elvira.
«Che il maestro Fabio ha fatto il pedofilo con te!».
Elvira sbiancò, restò qualche secondo in silenzio poi incominciò a far finta di piangere. Il direttore era già di fronte a Gianna che a sua volta sbiancò. Aveva sentito tutto. La guardò, le sorrise e le tirò una sberla in pieno viso.
«Se dici un’altra volta una cosa simile ti faccio arrestare, così finirai con quel degenerato del tuo maestro!» poi sorrise di nuovo e l’accarezzò sotto il mento, «Ma tanto tu sei abituata a stare con i depravati, tuo padre sta con un’altra vero?».
Gianna restò immobile, non pianse, aveva il segno delle cinque dita sul viso e si fece la pipì addosso.
Il direttore se ne accorse e sorrise di nuovo.
«Povera pezzente… e per di più piscia sotto! Aspettatevi una punizione esemplare!».
Una volta fuori Gianna incominciò a singhiozzare in silenzio. Le lacrime le scendevano copiose dagli occhi, singhiozzava e non riusciva a fermarsi. I ragazzi le stettero vicino. La fecero sedere su un muretto.
«Almeno ora ci siamo levati quella scema davanti!» disse Rollo.
«E guarda che è proprio scemo a dirti quella cosa su tuo padre!» disse Benny.
Gianna si riprese un attimo.
«Ma è vero, il fatto di mio padre è vero!».
«Sì… e parla proprio lui? Anche sua moglie l’ha lasciato per un altro!» disse Otto.
«Gianna ma perché hai detto quella cosa a Elvira?» chiese Rollo
«È una bugia! Il maestro Fabio è innocente, non ha fatto il pedofilo!» rispose Gianna cercando di smettere di singhiozzare.
«Chi te l’ha detto?» chiese Max ansioso.
«Faffi. Ieri l’ho seguita ed ho parlato con lei. Ho sbagliato a dirvi di fare il rito di esclusione, lei non ha nuovi amici, si è solo allontanata perché non sopportava Elvira!».
«E aveva ragione lei!» disse Benny.
Ma Max non si dava pace. Gianna aveva detto che il maestro Fabio era innocente. Il suo maestro. Era una gioia immensa.
«Gianna come fa Faffi a dire che il maestro è innocente? Sa qualcosa?» chiese.
«Max pensaci da solo. Il maestro Fabio avrebbe mai fatto una cosa del genere? E poi io ci ho pensato, ma perché proprio Elvira che era la figlia del direttore con cui il maestro litigava sempre?».
«Forse perché lo odiava e ha fatto quelle cose ad Elvira per vendetta!» replicò Otto.
«Ma che dici?» reclamò Benny, «Il maestro non poteva vedere il direttore e faceva quelle cose brutte alla figlia? A me mi sembra strano, non è che ci credo proprio! E poi i pedofili fanno quelle cose perché gli piacciono, non per vendetta!».
«Ma io nemmeno ci credo!» disse Rollo, «Ma mia madre aveva detto che non potevo chiamare più il maestro e che non dovevo più neanche nominarlo, né a casa, né a scuola, né con gli amici!».
«Anche mia madre mi ha detto la stessa cosa!» ammise Otto.
«A me sembra un complotto da grandi!» disse Benny.
«Ragazzi vi rendete conto che potrebbe essere tutto falso?» disse Max con gli occhi lucidi, «Vorrebbe dire che il maestro Fabio è innocente!» disse Max.
«E allora dobbiamo fare qualcosa per scoprire la verità!» disse Otto.
«E cosa facciamo?» chiese Benny.
«Andiamo dai Carabinieri!» propose Max.
«Va bene, però io mi devo andare a cambiare, con il pantalone bagnato dai Carabinieri non ci posso venire!» disse Gianna.
Nel pomeriggio andarono dai Carabinieri. Non sapevano cosa e come l’avrebbero detto, ma una cosa era certa: dovevano riferire che il loro maestro era innocente.
Il Carabiniere di turno gli rise in faccia quando sentì che volevano difendere il maestro Fabio. Ma vista la gravità del fatto non si prese la responsabilità di mandarli via e li fece parlare con il Maresciallo capo. Entrati nell’ufficio seduto dietro al scrivania c’era un uomo corpulento e severo, dall’aria annoiata ed infastidita.
«E allora che volete? E dove sono i vostri genitori?».
«Siamo venuti da soli, sappiamo delle cose importanti sul maestro Fabio, che è innocente!» disse Gianna.
«Ah… e ditemi!».
I ragazzi raccontarono che secondo loro Elvira si era inventata tutto. Il maresciallo sbadigliava in continuazione.
«Ve l’ha detto lei che si è inventata tutto?» chiese il Maresciallo.
«No, però è sicuro. Noi il maestro lo conosciamo bene, non farebbe mai una cosa del genere. Mentre Elvira è cattiva!» disse Rollo.
«Sentite… a parte che qui non stiamo a giocare, ma lavoriamo. Quando avete voglia di giocare, andate in strada. Andate a studiare. Qui c’è una denuncia scritta, correlata da prove, da un referto psicologico. Invece di giocare a fare i poliziotti, ringraziate che quel maestro non vi ha mai fatto niente, a differenza di quella povera bambina. Ma dite la verità… ha fatto qualcosa anche a voi quel depravato? Vi ha messo le mani addosso?» poi il Maresciallo cominciò a diventare minaccioso, «Ma ditemi la verità, vi ha mandato lui qui? Vi ha detto lui di venire qua a dire che è innocente?» incominciò ad urlare, «Ma vi rendete conto di quello che fate? Quel maestro è un animale e dovrebbe marcire in galera per sempre e voi lo difendete? E venite qui a riferire le cose che lui vi dice di dire!».
I ragazzi restarono ammutoliti.
«Ma il maestro Fabio non ci ha detto niente, ma come vi vengono in mente certe cose?» disse Rollo arrabbiata.
«Noi il maestro non lo vediamo da quando ha lasciato la scuola!» aggiunse Benny.
«E allora andate a fare cose più adatte a bambini della vostra età, altrimenti faccio convocare qui i vostri genitori e vi faccio punire per tutta l’estate!».
I ragazzi scapparono dalla caserma impauriti e delusi. Il maresciallo per poco non li arrestava. Il maestro Fabio restava accusato di qualcosa che forse non aveva commesso.
«Dobbiamo trovare delle prove!» esordì Max.
«E come? E dove? Mica le troviamo in mezzo alla strada! Toh, guarda, ho trovato una prova per terra!» ironizzò Benny.
Non avevano idea sul da farsi, ma era tardi e portarono Grigio alla capanna. Ognuno tornò a casa per la cena. Ne avevano avute abbastanza per quel giorno e ci mancava solo una punizione da parte dei genitori per essere rincasati tardi. I problemi li avrebbero risolti il giorno dopo, e poi si dice che la notte porta consiglio. Ma l’indomani sarebbe stato un giorno drammatico, uno dei più brutti dell’estate, brutto come quando il maestro Fabio comunicò alla classe che lui e la maestra Anna se ne sarebbero andati. Brutto come quando il maestro fu arrestato perché era un pedofilo. Brutto come quando Gianna scoprì che il papà viveva con un’altra donna. Brutto come quando il padre di Otto fu arrestato.
I ragazzi della banda giunsero insieme alla capanna. Tranne Max che li aveva preceduti e fu il primo ad avere la brutta sorpresa: la capanna della Banda di Casapunessa era bruciata e a terra, carbonizzato, senza vita, giaceva Grigio. Max era in ginocchio vicino a lui e piangeva a dirotto. I ragazzi non credevano ai loro occhi. Otto ebbe una crisi di nervi ed incominciò a prendere a calci tutto. Gianna non riusciva nemmeno a piangere talmente era scioccata. Rollo e Benny si avvicinarono a Max e piangevano con lui.

Chi era stato? Chi poteva fare una cosa così disumana? Solo due persone che conoscevano il rifugio oltre a loro: Faffi ed Elvira ed immediatamente su quest’ultima caddero i sospetti. Elvira era arrabbiata con loro ed il direttore disse che li aspettava una punizione esemplare. Nessuno se la sentì di seppellire il povero Grigio, nessuno aveva il coraggio di prenderlo tra le braccia. Erano sconvolti, Rollo disse che l’avrebbe chiesto a nonno Giosba di scavargli una fossa, poi avrebbero fatto una preghiera e messo una croce.
Erano decisi: l’avrebbero fatta pagare al colpevole. Andarono in paese ed incominciarono a girovagare. Dovevano fare qualcosa per non pensare, per impegnare la mente. Gianna non andò con loro, preferì andare a casa di Faffi. Sperava che non fosse ancora uscita di casa ed ebbe fortuna. Faffi fu contenta di vederla ma cercò di non darlo a vedere. Gianna aveva gli occhi lucidi e Faffi se ne accorse.
«Che è successo?» chiese la piccola.
«Hanno bruciato la capanna. Grigio è morto, hanno bruciato anche lui!».
A Faffi incominciarono a scendere le lacrime dagli occhi.
«Chi è stato?» chiese.
«Non lo sappiamo, forse Elvira perché non l’abbiamo fatta entrare nella banda!».
Passeggiarono un po’ insieme, senza litigare, ma avevano il morale troppo basso per parlare, così dopo un po’ Gianna tornò dai suoi amici. Mentre passeggiavano passò il signor Rosario con il suo furgoncino. I ragazzi lo inseguirono e correndo ed urlando. Lui se ne accorse e si fermò.
«Che succede ragazzi?» chiese.
«Hanno ucciso Grigio il nostro cane, e ci hanno anche bruciato la capanna!» urlò Max piangendo.
«E chi è stato?» chiese il signor Rosario visibilmente dispiaciuto.
«Il direttore e la figlia!» rispose Benny.
«Abbiamo litigato ieri mattina ed il direttore ce l’aveva detto che ce l’avrebbe fatta pagare!» aggiunse Rollo.
Il Signor Rosario assunse un’aria seria, ma allo stesso tempo di solidarietà. Era sempre dalla loro parte.
«Ragazzi, mi dispiace, quello sarebbe capace di tutto, ma mi sembra strano che sia arrivato a questo. Io non so più cosa devo fare, ormai penso di aver deciso, mi licenzio, meglio disoccupato che con un pazzo. Ma tu vedi se è possibile. Ieri pomeriggio li ho accompagnati all’aeroporto perché dovevano partire e quello prima di partire è venuto a bruciare la capanna! Ma è pazzo!».
I ragazzi furono presi in contropiede. Avevano accompagnato Grigio alla capanna dopo le 19.00. Il signor Rosario disse che il direttore con la figlia erano partiti nel primo pomeriggio. Ai ragazzi dapprima parve strano perché la mattina Elvira non aveva parlato di partire, ma il Signor Rosario disse che era stata un’improvvisata perché Elvira era triste per qualcosa che era successo la mattina. Quindi chi era stato?
«E allora l’unica che conosceva la nostra capanna era Faffi!» disse Benny.
«Non è stata lei!» disse Gianna.
«Come fai ad esserne certa? Anche lei era arrabbiata con noi!» disse Otto.
«Faffi avrebbe bruciato la capanna, ma non Grigio, lei gli voleva bene come noi!»
«Forse voleva bruciare solo la capanna e non sapeva che dentro c’era Grigio!» disse Rollo.
«Dai ragazzi, non può essere…» disse Max, «…Grigio si sarebbe accorto che fuori c’era Faffi e avrebbe abbaiato. No, secondo me non è stata lei!».
Erano esausti, avviliti, spenti. Era stato il giorno più brutto di tutta l’estate. Ognuno prese la strada di casa. Ognuno continuò a piangere. I genitori di Max non insistettero quando Max andò a letto senza mangiare. La mamma lo raggiunse a letto per rincuorarlo un po’, ma lui piangeva a dirotto. Non si capacitava come si potesse fare una cosa del genere. Max, Gianna, Otto e Faffi dormirono malissimo, avevano incubi, si svegliavano, si rigiravano nel letto. Rollo e Benny sognarono che Grigio era vivo e al risveglio, quando si resero conto che avevano sognato, scoppiarono a piangere. Si riunirono in piazza e Rollo disse che il nonno era fuori per qualche giorno. Toccava a loro seppellirlo. Fecero anima e coraggio ed andarono alla capanna. Non avevano attrezzi per fare una buca, così incominciarono a scavare con un pezzo di legno. Max non riusciva nemmeno ad aiutarli, se ne stava seduto a piangere. Otto prese lo stesso legno per spingere il corpo del cane nella piccola tomba che avevano scavato.
«Addio Grigio! Non meritavi di morire così!» disse Benny.
Poi all’improvviso una voce lapidaria li fece sobbalzare.
«Non è morto!»

 

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