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La Banda di Casapunessa ed il cane Grigio

 

XI Capitolo  (vai al capitolo 1)

 

Otto propose che fossero solo i maschi ad andare, ma Gianna e Rollo si opposero con decisione, dando un calcio in faccia alla paura.
Per la prima volta, infatti, avevano paura. Fino ad allora avevano sempre ostentato con spavalderia il loro coraggio, marciavano a testa alta sapendo di far parte della Banda di Casapunessa, la mitica Banda di Casapunessa. Ma ora era diverso, questa volta combattevano contro un nemico più grande e più forte di loro, forse armato.
Max, Gianna e Rollo non mangiarono niente a cena. Rollo era terrorizzata e nonno Giosba a tavola doveva aver capito che qualcosa non andava perché la fissò tutto il tempo. Fu un sollievo per lei quando Gianna la chiamò al telefono. Otto e Benny andarono a letto non appena finita la cena.
Erano le 02.00 di notte quando arrivarono alla casa di Elvira era completamente buio. Max aveva portato una torcia. Grigio era molto nervoso e digrignava denti. Dalla cantina i cani incominciarono ad gagnolare. La casa aveva due porte ed erano entrambe chiuse. Le finestre erano alte ed avevano le inferriate. Benny decise che avrebbe rotto il vetro della finestra della cantina e si sarebbe calato dentro. Ma non fece in tempo a rompere il vetro che Rollo diede un urlo mostruoso. Dietro di loro c’era la sagoma di un uomo, vestito tutto nero, con un cappello. Era buio e non si riusciva a vederlo in viso. Sembrava il direttore, ma non poteva essere lui perché era in carcere. L’uomo si avventò su di loro. Max e Otto si tirarono le ragazze. Benny fu preso ad un braccio ma riuscì a divincolarsi. Rollo e Gianna piangevano a dirotto. Grigio si liberò dalla presa di Max e si lanciò contro l’uomo; gli azzannò il pantalone, ma l’infame gli tirò un calcio e lo fece volare via. Ad un certo punto Rollo sentì una mano sulla spalla ed diede un urlo pazzesco facendo saltare dal terrore anche Gianna.
«Rollo sono io, nonno Giosba!»
«Nonno, nonno, abbiamo trovato dove hanno rinchiuso Faffi, c’è il veterinario che ci vuole uccidere!» urlò Rollo piangendo.
«Andate nel mio furgoncino e chiudetevi dentro!».
L’uomo nero aveva preso un’ascia e si diresse verso nonno Giosba con fare minaccioso.
«Calmati!» gli disse il nonno, «È tutto finito, stanno arrivando i carabinieri!».
La losca figura rise e continuò ad avvicinarsi mentre nonno Giosba indietreggiava. Grigio ripresosi dal calcio si avventò di nuovo contro l’uomo nero e abbaiava a distanza ravvicinata. L’uomo strinse l’ascia e stava per sferrare un colpo al cane. Max fece un balzo, afferrò Grigio e spintonò l’uomo con tutta la forza che aveva. Poi le sirene dei carabinieri. L’uomo si spaventò e corse via. Nonno Giosba prese i maschietti e li condusse vicino al furgoncino. Erano tutti scossi.
«Nonno come sapevi che eravamo qui?» chiese Rollo tremante.
«Stasera a cena eri nervosa, impaurita e guardavi continuamente l’orologio. Così mi sono insospettito ed ho ascoltato la tua telefonata con Gianna. Quando sei uscita ero ancora sveglio e vi ho seguiti a distanza con i fari spenti! Quando ho visto l’uomo uscire dalla casa ho chiamato i carabinieri!».
Non appena giunti sul posto nonno Giosba informò dell’uomo che li aveva assaliti ed i carabinieri si diedero all’inseguimento.
Tra i carabinieri ce ne era uno conosciuto ai ragazzi: il capitano Lippiello.
«Capitano, capitano abbiamo provato tutta la sera a contattarla, ma non ci siamo riusciti!» disse Max a volersi giustificare.
«Lo so, l’appuntato di guardia mi ha chiamato e me lo ha riferito. Così ho deciso di venire a Casapunessa per la notte. È stato un bene perché quando è arrivata la telefonata del nonno eravamo già pronti!» poi assunse uno sguardo severo, «Ora andate a casa, ma domani mattina verrete accompagnati in caserma!».
I ragazzi ammutolirono, questa volta l’avevano combinata grossa.
«Ma noi volevamo…» disse Gianna, ma si bloccò.
Il capitano li guardò restando in silenzio. Un carabiniere si avvicinò e disse che nella cantina c’erano molti cani.
«A nome della compagnia dei carabinieri… ringrazio la Banda di Casapunessa per il grande aiuto dato alle indagini!» disse il capitano facendo l’occhiolino.
I ragazzi si emozionarono e chiesero di restare per sapere di Faffi. Purtroppo la perquisizione non diede risultati. Faffi non si trovava. Ma la cosa più strana era che dell’uomo che li aveva assaliti nemmeno l’ombra. Eppure i carabinieri avevano perlustrato tutta la zona.
«Eppure a piedi non può essere arrivato lontano, da qualche parte si deve essere nascosto!» disse il capitano rivolto al tenente.
«La stanza segreta!» urlò Otto.
I ragazzi ed i carabinieri lo guardarono perplessi.
«Non vi ricordate?» continuò Otto, «Elvira ci disse che nella casa c’era una stanza segreta, ma non ce la poteva far vedere! Noi pensavamo che lo dicesse per finta, forse è vero!».
I ragazzi confermarono ed incominciarono ad agitarsi. Il tenente disse che avrebbe fatto ispezionare la casa a fondo, ma il capitano disse di no.
«No, sigilliamo l’edificio e ce ne andremo!»
«Ma Faffi!» urlò Gianna.
«Ragazzi, fidatevi di me!» disse il capitano.
I ragazzi furono accompagnati a casa, nonostante supplicarono quasi piangendo di non svegliare i genitori, i carabinieri dovettero svolgere il proprio dovere, e sebbene cercarono di spiegare ai genitori che erano stati utili alle indagini, non servì a placare la loro ira. Max, Benny e Gianna ebbero il divieto di uscire per un mese. A Rollo ci pensò il nonno a salvarle la pelle. La mamma di Otto lo rimproverò leggermente, ma poi gli chiese fiera se davvero avevano aiutato i carabinieri. Nonostante la paura i ragazzi erano stanchi morti e crollarono in un sonno profondo.
Erano le 09.00 e Gianna stava ancora dormendo quando la madre entrò nella stanza. Si avvicinò al letto e si sedette sul lato. La toccò leggermente facendole fare un lieve movimento ondulatorio.
«Gianna, Gianna!» disse con voce bassa.
Gianna si svegliò di soprassalto guardando il viso preoccupato della madre. Restò in attesa che le dicesse qualcosa. Il cuore incominciò a batterle a 1000 all’ora e lo stomaco le faceva male.
«Hanno trovato Faffi!».
Gianna strabuzzò gli occhi e restò in silenzio fissandola impaurita.
«É viva!» aggiunse la mamma.
Gianna esplose in un pianto liberatorio. La madre la strinse a sé.
«È in ospedale, non sta molto bene, ma mi hanno detto che ha chiesto della Banda di Casapunessa!».
Superman diceva “Via, più veloce della luce!”; i nostri amici non erano come Superman, ma volarono in ospedale con lo stesso tempo che impiegava Superman per volare da un posto all’altro. Nonostante l’arrabbiatura i genitori non si tirarono indietro ad accompagnarli dalla loro amica. Arrivati in ospedale nella sala d’attesa incontrarono il maestro Fabio e la maestra Anna. I maestri avevano gli occhi lucidi e abbracciarono i ragazzi.
«Maestro ora che tu torni ad insegnare a scuola, noi andremo alle medie!» disse Otto deluso.
«Noi non torneremo ad insegnare in quella scuola!» disse il maestro.
«Maestri perché non venite ad insegnare alle scuole medie?» chiese Rollo raggiante.
I due maestri li abbracciarono di nuovo e gli sorrisero, poi gli dissero di andare da Faffi che li stava aspettando.
Quando videro Faffi i ragazzi restarono senza parole. Le avevano tagliato i capelli cortissimi. Era bianca come la neve, dimagrita da far paura. Aveva lividi in faccia e tumefazioni su tutto il corpo. Una flebo attaccata al braccio sinistro. Era molto debole ma ciò nonostante riuscì a sorridere ai suoi amici. Ad uno ad uno i ragazzi l’abbracciarono e la baciarono. L’ultima fu Gianna che non faceva altro che piangere e singhiozzare da quando era entrata. Si abbracciarono a lungo e anche Faffi incominciò a piangere.
«E non ti azzardare più a lasciare la banda!» rimproverò Gianna.
«Ma non mi avevate cacciato?» chiese Faffi sorridendo.
«Noooo, no, no!» urlarono tutti insieme.
«Tu fai parte della banda e poi il rito di espulsione non è valido perché Grigio non ha dato la sua approvazione!» disse Max.
«Ma se c’era la sua firma!»
«Sì ma l’ho scritta io a penna, non ha firmato con la sua zampa!» disse Benny sorridendo.
«A proposito dove sta quel batuffolo di pelo?».
«L’abbiamo dovuto lasciare giù, sta con nonno Giosba, non può entrare in ospedale!».
«Faffi perdonaci!» disse Benny con le lacrime agli occhi, e quel topolino sorrise.

Il capitano dei carabinieri aveva parlato ad alta voce che ormai non c’era più niente da cercare. Diede ordine ai suoi uomini di recintare la casa con il nastro, apporre cartelli con la scritta: zona sottoposta a sequestro giudiziario e di tornare tutti a casa. Inoltre il capitano urlò che l’appuntamento era la mattina seguente alle 08.00 per i rilievi. Ma così non fu, perché quando le auto dei carabinieri se partirono a sirene spianate, il capitano ed alcuni uomini si appostarono nei pressi della casa in attesa che accadesse qualcosa. Aspettarono quasi un’ora, ma ne valse la pena: dalla casa uscì l’uomo nero, aveva con sé un sacco. I carabinieri lo arrestarono immediatamente. Nel sacco c’era Faffi. Tutto il tempo era stata segregata in uno spazio situato dietro l’apertura segreta di un termosifone. Un piccolo sgabuzzino dove la piccola non poteva nemmeno coricarsi. Ed era lì che si era rifugiato l’uomo nero all’arrivo dei carabinieri.

«Ora è tutto finito Faffi. Appena ti rimetterai torneremo a giocare insieme!» disse Benny.
Da fuori la stanza proveniva del rumore strano, Otto aprì la porta e Grigio fiondò dentro come un pazzo. Fece un balzo sul lettino ed incominciò a leccare Faffi. La piccola era raggiante ma era ancora molto debole per reggere il cane in braccio, così ci pensò Gianna.
«Ragazzi come è entrato?» chiese Max.
«Non lo so, ma teniamolo nascosto, altrimenti sai come si arrabbiano le infermiere!!» disse Benny.

«Lo organizziamo un picnic al fiume?» chiese Faffi.
«Promesso!» disse Gianna ancora abbracciata alla piccola, «Tanto non ti devi preoccupare, il direttore l’hanno già arrestato e penso che ieri il capitano ha arrestato anche il capo della banda, il veterinario!»
Faffi restò in silenzio per qualche secondo, poi con un fil di voce disse:
«Non era il veterinario a tenermi prigioniera, e non è stato lui a picchiarmi così! Il veterinario ed il direttore erano solo ai suoi ordini!»
I ragazzi ammutolirono.
«Ma chi era allora? Il sindaco? Il maresciallo? La direttrice della scuola elementare?» chiese Otto.
«Ragazzi, abbiamo sbagliato tutto…» disse Faffi con voce calma, «pensavamo al direttore, a qualcun altro, ma il capo di tutto era colui che non avremmo mai pensato! Quello che sembrava il più buono!»
«Il… signor… Rosario?» balbettò Rollo.

L’estate volgeva al termine, mancavano pochi giorni a settembre e nessuno sapeva che cosa avrebbe riservato loro il futuro. Probabilmente sarebbero finiti in classi diverse e avrebbero avuto nuovi compagni. Il maestro Fabio lo diceva sempre: le cose non sono sempre come sembrano! Il sole di agosto batteva nella stanza dell’ospedale dove era ricoverata Faffi; un soffio di vento spalancò le vetrate; una nuvola coprì il sole adombrando per un attimo la stanza. Faffi aveva la testa bassa, gli occhi lucidi, fece un respiro, chiuse gli occhi, fece di sì con la testa… e le lacrime incominciarono a rigarle il viso.

 

Qui finisce la storia dei ragazzi della Banda di Casapunessa e di Grigio.
Una storia scritta di getto in un momento particolare della propria vita.

Dedicata a tutti i bambini, ora ragazzi, di quella scuola, di quel paese, di quel giorno, in cui, separandomi da loro, mi hanno fatto provare un dolore indescrivibile, ma allo stesso tempo una immensa, meravigliosa, straordinaria emozione per tutto l’amore che mi hanno donato.

Era il lontano 12 Febbraio 2007   in un paesino in provincia di Caserta!

 

Claudio Cutolo

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Commenti (2)

Bellissimmo libro! Mi è piaciuto tantissimo! 😀

Grazie, speriamo di poterne pubblicare altri in seguito.

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